Nella vita tutto si gioca in un attimo, l’attimo della scelta, quello in cui tra due vie, decidi di percorrerne una. C’è chi afferma, con un certo orgoglio, di fare sempre delle scelte ponderate, valutando bene pro e contro, chi lamenta di averci perso il cuore (ed anche le tasche) mettendo sempre in gioco i sentimenti e poi stancamente, imbocca l’amara via della disillusione, quando sembra giungere, simile alla morte, il momento di decidere … chiudendo bene in tasca il cuore.
Ho sempre ammirato queste persone dai contorni netti, dove tutto si scrive nero su bianco, basta saper leggere, con me stessa non saprei fare altrettanto.
Mente e cuore non le distinguo più, forse uno dei due è scomparso, come una goccia d’acqua nel vino, riconoscendosi nell’altro, dandogli fiducia.
E’ stato in quel momento che ho capito che la solitudine è solo una visione razionale, l’ultimo aborto di una mente che accetta solo il segno + ed il – non è in grado di pensarlo se non in termini di assenza.
Questo segno che attraversa la vita come una costante sempre indesiderata, in definitiva non è che il linguaggio del cuore che cerca di spiegare alla mente formule troppo difficili.
Ogni sottrazione, anche casuale, la si vive obbligatoriamente come perdita, perciò diventa difficile crescere ed accettare di poter in qualche modo “diminuire” … eppure nasciamo minimi e quando moriamo ritorniamo a quello stadio primitivo d’impotenza, assoluta fragilità e dipendenza.
Perché allora questa frenesia di crescere, aumentare, accumulare?
Chi è stato il primo sordo ad intonare questo canto ormai corale che vede nel segno + il positivo e nel – il negativo, l’imperfezione, l’irrazionale, il difetto, il male da cui guarire?
Quante anime essenziali si sono suicidate ascoltando queste sirene intraprendenti, quante sono diventate lo zimbello del paese perché modulavano le loro voci fuori da quel seducente coro e quanti invece si sono arricchiti con astuzia, facendosi legare all’albero maestro o semplicemente rimanendo silenti spettatori …
Ma cosa perdiamo quando perdiamo? Nulla ci può essere tolto di ciò che ci appartiene veramente …
E cosa è più autenticamente nostro di quel segno – ?
Chi scala una montagna non considera forse il minor peso come una liberazione e non una povertà della quale compiangersi?
Se riempissimo un palloncino di piombo, forse sarebbe in grado di volare?
Tutto ciò che ci appesantisce c’inchioda, solo ciò che ci solleva, come il vento e come il mare, ci consente di veleggiare.
Avete mai visto una bambina davanti ad un vassoio colmo di caramelle?
Non riuscirà a sceglierne una e se non potrà prenderle tutte piangerà come se non ne avesse avuto niente.
Noi adulti chiamiamo egoismo quello che nei bambini è solo la libertà di poter chiedere per sé il meglio, capriccio il loro rifiuto di accontentarsi, come facciamo noi.
Rassegnarsi a gustare una sola caramella è pian piano piegarsi alla logica adulta dell’accettare di avere qualcosa in + piuttosto che niente, ma quel poco al quale non si rassegna piangendo la bambina, non è quel – al quale vogliono farci adeguare i detti proverbiali.
Accontentarsi è rinunciare al meglio che si ha davanti e che s’invoca – come bambini – stringendo le mani a pugno. Sarà quel doverne fare obbligatoriamente a – ad educarci alla convenienza del +, a dividere mente e cuore, secondo le opportunità, a scendere a compromessi che ci faranno perdere la purezza e l’ingenuità, a considerare il – una perdita piuttosto che una possibilità.
Chi cresce non facendo parti tra mente e cuore, sa che il – non è sottrazione, è quel vuoto che possiamo colmare con un salto, è la qualità che si paga al prezzo della quantità.
Le mani che giudichiamo miserabili a volte sono quelle che si allungano verso aspirazioni più alte, le parole non dette quelle traboccanti di significato, l’amore non dato quello che sa aspettare il tempo dell’altro per essere condiviso.
L’assenza è un freddo inverno che brontola e dorme solo fiducioso nel bacio della sua primavera.
Il – non è il premio di consolazione dei falliti, ma quell’apnea che ci permette di governare la corrente e toccare vittoriosi la sponda delle nostre aspirazioni più autentiche, quel negativo che ci restituisce la realtà senza tradirla filtrandone la luce.
Gli amministratori del + ne hanno fatto una nenia per addormentare gli animi degli inquieti, i pescatori del – ne hanno intrecciato reti tra canti civili d’innocenza, in una resistenza la cui formula vincente potrebbe far sorridere e vacillare la mente, ma mai indietreggiare il cuore.
E se un “negativo” vincesse cosa gli si potrà mai dare in premio? TUTTO il meglio per cui avrà lottato, niente di + … niente di – …
Antonella Foderaro