– Hai notato la ricorrenza dell’IO nei testi che circolano in Rete?
– Si. E’ un vizio diffuso.
– Un vizio?
– Un bisogno ricorrente di soddisfazione. Non saprei come definirlo.
– Non serve la definizione. E’ un fatto riscontrabile.
– IO credo che ognuno cerchi di capire come collocarsi.
– Collocarsi dove?
– Tu non ti sei mai sentito la tessera di un mosaico?
– IO sono quella non collocabile per forma e per colore.
– Dunque, dove ti poni?
– Non mi pongo.
– Vivi per conto tuo?
– Ci provo.
– Allora perché chiedi dell’IO degli altri?
– Vorrei una conferma per la percezione della mia tessera.
– E se anche gli altri fossero alla ricerca della stessa conferma?
– Il mosaico non potrebbe mai comporsi.
– Ti sembra che accada?
– Alcune zone sono piene. Altre sono prive di tessere.
– Ti sembra che le zone abbiano una maggiore estensione di quelle vuote?
– No.
– Dunque sono tanti quelli che si cercano?
– Si.
– In che rapporto stanno con quelli che usano l’ “IO”?
– Non saprei. Non credo, tuttavia, che coincidano totalmente con essi.
– Una parte, dunque, non usa l’IO.
– Tu lo fai?
– IO? A volte. E tu?
– IO spesso.
– Perché lo fai?
– Mi sento di appartenere alle zone piene.
– Cosa ti sembra che raffigurino le zone piene?
– Nessuno lo sa, ma il vuoto ha sempre attirato di meno.
– Userai più spesso l’IO in futuro?
– Solo quando avrò paura del vuoto.
– Chissà cosa potrebbe esserci nel vuoto…
– IO non ho voglia di scoprirlo. E tu?
– Mi piacerebbe.
– Non hai usato l’IO.
– Non mi serve.
Pasquale Esposito
A me, più che sull’utilità o l’inutilità dell’IO, viene voglia di interrogarmi sull’Autenticità di quest’Ultimo, qualora, per trovarne la qualsivoglia conferma, ha necessità di essere Mostrato e quindi possiede già, intrinseco, il preconcetto di “devo apparire in una forma che possa piacere”.
CollocarSi cercando la conferma altrui, come spesso è normale, ma tramite un mezzo che permette anche di autoinventarsi, e quindi di non essere Autentici, questo secondo me è il maggiore dei problemi.
Un saluto,
Lo Sciatore Con Le Ali
bellissima e evocativa l’immagine che mi ricorda i plasma di bill viola.
il dialogo è davvero molto bello e anch’esso evocativo con la metafora del mosaico
si potesse occupare un posto prescindendo dall’io … forse la tessera sarebbe come un buco nero che assorbe tutte le individualità e non ne emana alcuna
L’Io narrante è una tecnica narrativa, iniziata col monologo interiore di Joyce e con alcuni scritti di Virginia Woolf. Non è necessariamente autoreferenziale, o soggettivisticamente compiaciuto, non è narcisismo, ma si riferisce , a volte, anche ad altri personaggi che parlano in prima persona, con le parole e la personalità dei quali si rappresenta un tipo, un carattere, un registro linguistico. E’ una scelta di stile, un prisma, un gioco di specchi attraverso i quali si vede la realtà, si cerca la verità, se essa si può rappresentare, o si dà un senso diverso alla vita. Sono le idee il pensiero, il senso dell’esserci che contano, non l’IO. C’è un Io che è soggetto , solo soggetto e c’è un io che fa scorrere le parole ,invece che in terza persona, in pima persona. Un Io oggettivo.
La narrazione è un modo di scrivere complesso, denso ricco, e perciò mi sembra assurdo che si discuta ancora della prima o della terza persona. All’inizio Joyce risultava difficile, oggi è uno dei più grandi autori. E’ come stare dietro la macchina da presa: è l’Io che registra, sfuma , dà colore all’immagini; ma è una storia dei personaggi che viene rappresentata, degli scenari che si aprono davanti all’occhio del regista. Credo che oggi la questione stilistica non si possa più presentare in questi termini. Poi c’è il roman Journal della Cardinal di De Beauvoir, nei Mandarini. Auerbach ne ha parlato in Mimesis, e Benjamin anche. Alla fine diventa un noi.
Sarà che mi piacciono le provocazioni, sarà anche che mi piace discutere e riflettere in luoghi tranquilli ed un pò “disabitati”, sarà anche che questo Blog creato dall’ottimo Francesco è da tempo desueto, ed “abbandonato” ad un silenzio che giudico fecondo, …per tutti questi motivi vorrei provare ad affrontare un tema,( sia pur brevemente e come spunto per una discussione), che è trattato anche da alcuni filosofi , a volte marginalmente , a volte centralmente. La filosofia, anche quella pratico-pratica ed aperta a tutti , è inutile ?Se la Filosofia, almeno quella che è più teoretica e da tempo immemore affronta l’arduo problema della significatività dell’esistenza, arriva a dirsi seconda rispetto alle possibilità del linguaggio poetico (Heid.) di comprendere l'”essere”, se è così a che serve ?Se la Filosofia, quale Critica delle possibilità conoscitive dell’uomo , è radicalmente pessimista, sulle capacità teoretiche dell’umano genere, allora a che serve ?Dico e scrivo solo questo, in realtà pensando che un’utilità c’è, una meraviglia da annoverare tra i risultati del filosofare , c’è pure.Ma forse l’essere inutile della filosofia più teoretica, è il suo vantaggio ed il suo pregio. Cerchiamo di capire perchè………..Se qualcuno vuol dire la sua potrebbe venir fuori una riflessione interessante.