
Immagine di Francesco Colia
La sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo che è destinato a deperire e a disfarsi; dal mondo esterno che contro noi può infierire con strapotenti spietate forze distruttive; e infine dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza che ha origine nell’ultima fonte viene da noi avvertita come più dolorosa di ogni altra.
Sigmund Freud
Il dolore è perdita, qualcosa che muta la propria condizione. Il dolore non inganna, non finge di essere diverso da quello che è. Non si può sfuggire al dolore dopo esserne stati travolti e ciò che lo rende potente è la sua capacità di insinuarsi nella mente e nel corpo. Tutto può essere fonte di dolore, una parola, un gesto, una malattia, una persona, un ricordo e questo non fa che accrescere il desiderio di rimuoverlo. I pensieri cercano in ogni modo di cancellare il dolore, i pensieri volano in cerca di terre rigogliose ma siamo consapevoli del fatto che un giorno il dolore busserà alla nostra porta. Non vogliamo avere a che fare con ciò che ci fa soffrire, chi può bramare il dolore? Il dolore non chiede il nostro consenso, il dolore c’è e muta la nostra condizione. Il nostro primo vagito è un grido di dolore così dopo aver abbandonato il luogo dove il nostro essere si è rivelato il mondo ci accoglie in un pianto. Siamo alla continua ricerca di senso, sorrisi, distrazioni perché la nostra condizione è una girandola di emozioni che invoca un tempo infinito dentro un gioco definito. Il dolore non è una comparsa che viene trascurata con facilità perché il viaggio della vita richiede tutti i suoi protagonisti. Tutti siamo in balìa di una tempesta difficile da governare eppure c’è sempre una raggio luminoso che accarezza il nostro viso. Il nostro tempo è concepito per essere un futuro dimenticato. Il tessuto dove cuciamo i nostri sogni sono piccoli fili che dobbiamo reclamare continuamente, senza indugi, senza tentennamenti. Il dolore è perdita ma perdersi sarebbe una disperazione ancora più grande così la nostra condizione, mutata, mutuata, rinnovata, abbandonata non è altro che una costante testimonianza del nostro imprevedibile vivere.
Francesco Colia