Il mondo è già sempre quello che io con-divido con gli altri.
Martin Heidegger
Non sempre la luce offre una prospettiva chiara su cosa accade o accadrà. Le zone d’ombra, quelle distorsioni del vedere che non di rado ingannano occhi ed interpretazioni, sono parte della visione ammiccante della realtà. Le ragioni del pensare non hanno una ragione indiscutibile perché spesso ciò che si pensa è un’eredità mal riconosciuta e taciuta. Il comprendere è un progetto elastico, a volte plastico, che deve le sue affermazioni in piccole convinzioni. Così anche l’accaduto si altera in spazi arrendevoli che invocano un’attenzione ambigua e turbata. Dunque, le nubi dell’ascoltare sono investite da perturbazioni che non lasciano possibilità di scelta e tutto si riduce in un’onda priva di suoni. Il carattere della pressione genera accordi controversi, perché non si può restare in equilibrio quando i rumori chiedono solo di cancellare la disperazione. Funamboli meccanici, prodotti deformati per assecondare domande perse nel vuoto dei loro contenuti, nell’assurdo valore dei giorni perduti. Dove sono le galassie dell’agire per un bene che non ha bisogno di ferire? È la polarizzazione del volere, contrazione di un desiderio lontano dal dire e dal sentire. Così si resta in orbita, in assenza di cura, aspettando eventuali forme di riscatto in un tempo passato e trascurato. Sono le lunghe attese del conoscere, abili inseguitori di specie estinte, ribelli di un mondo che anela solo un dividere da ogni possibile “con”. Il ritorno è un silenzio pericoloso, segno di una struttura disabitata e disorientata, perno di un’apertura rivolta a giorni sornioni. Possiamo reclamare un destino diverso per essere un diverso senza vestiti uguali e parole piene di guai? L’incontro non è un duello in cerca di uno scontro ma la ricerca di un rifugio sicuro. Non sempre la luce infonde sicurezza su cosa è o cosa non è. Così come esperimenti esperiti in numeri impazziti e ripetitivi restiamo chiusi in laboratori disturbanti e deliranti. La chiave del successo non è la sorpresa ma una veloce discesa senza resa anche se l’insuccesso è il più facili dei trofei, in bacheche impolverate ed esasperate. Dove portano questi pensieri se non in luoghi poco frequentati, in territori ormai dimenticati? Il volere resta appeso a un filo come un pendolo che oscilla tra il fare e il deflagrare in attesa di ruotare nella direzione del diventare. La densità delle parole perde il suo significato perché tutto deve confluire nell’utile e nel dilettevole come unica forma del vivere. Così l’assenza avanza inesorabilmente, tenacemente cercando di dipingere ogni opportunità in un ricordo e tutto si colora di foto spente orfane di un tempo luminoso. Il mondo esplode come fuochi d’artificio e corre lontano la scelta, evasa in cerca di un senso che non trova in questa precarietà. Dove sono le galassie del capire per un bene che non ha bisogno di fuggire? Respirare, con tutta la forza del dare anche se ogni pensiero è salpato verso un mare inesplorato e incontaminato.
Francesco Colia
Ti voglio bene, bello
Lasciati andare
The Bear