
Fotogramma tratto dal film The Prestige (2006) diretto da Christopher Nolan
Vorrei cambiare la voce
Vorrei cantare senza parole
Senza mentire
Per paura di farti soffrire
Vorrei cantarti l’amore, amore
Il buio che arriva nel giorno che muore
Senza cadere
Nella paura di farti male
Dario Brunori
Come sarebbe il nostro mondo se fosse soltanto un gioco senza regole?
I confini per quanto noiosi e pericolosi in alcune circostanze pongono attenzione alla nostra distopica provocazione. I limiti sono muri di sabbia quando assediano i sogni più puri e sinceri ma quando fanno da faro alla non verità, alla vanità, all’incuria, alla voglia di simulare si trasformano in baluardi da salvaguardare. Tanta energia diffusa nei luoghi del cancellare e nulla può assumere l’aspetto del controllare. Le figure vagano con un intento preciso, ombre che offuscano ogni genere di luce. Gli inganni non si nascondono dietro le parole, loro sono come coriandoli sospesi in aria, soggetti alle cadute, alle banali vedute.
L’inclinazione è dare voce alla menzogna, non come un pendio in salita bensì come una facile discesa per superare con disinvoltura ogni dialogo o paura. Il pensiero che possa esistere un’idea lontana dal nostro sentire, capire è un affronto che non possiamo tradire. Condividere la diversità o qualcosa che non fa parte delle nostre abitudini ci proietta nel mondo delle percezioni dove la verità non è accolta e curata ma soltanto maneggiata e plasmata. Nulla ci rende più forti e sicuri della costruzione distorta e comoda della non verità che deride e sorride alla realtà. Tutto questo mentire per apparire più interessanti rende i dintorni dei piccoli contorni dove lo spazio della comprensione è spogliato e depredato del suo senso più vero.
Dove si manifesta l’autenticità, l’essere sempre e solo materia del proprio io, del proprio sentire senza invadere il confine della malvagità? Così si tenta di cambiare le regole del gioco, di puntare sulla posta più alta, sul disordine razionale del non dire. È il tempo dell’imbroglio, il riconoscere una sola versione dei fatti, una forma edulcorata del fare sempre a vantaggio e difesa del proprio affare. Intorno a noi solo affreschi di un vissuto troppo risoluto e poco evoluto, produzione di un volere egoistico e avaro di confronti. È un copione troppe volte scritto, storie e racconti che si rifugiano nell’abisso del non offrire per restituire solo occasioni povere di emozioni, imponenti manovre per raggiungere un’ambientazione priva di ogni sensazione.
La scena è studiata e ripetuta nei minimi dettagli, non c’è possibilità di errore nell’essere l’orrore di un’esibizione deformata, trasmessa su ogni canale emozionale, mostrata come unica forma di protezione. È l’esistenziale solitudine dell’inessenziale, sostanza di una forma separata da tutto quello che può generare sorpresa e stupore. Tuttavia, lo spettacolo non concede al pubblico la possibilità di svelare ciò che viene minuziosamente celato, camuffato, truffato così il giorno si ripete ciclicamente nella versione più agevole e vantaggiosa. Non è sufficiente il volere se il tramonto pone fine ad ogni tentativo di sapere, il collasso avviene quando il trucco è inattaccabile, schermo di intenti che rivelano un malinconico destino.
Come sarebbe il nostro mondo se fosse soltanto un gioco?
Il cielo confonde i pensieri, l’aria entra prepotentemente e intorno a noi solo figure impolverate che bussano al passato senza la minima idea e così la verità fugge velocemente, lontana in cerca di custodi disposti ad accoglierla.
Francesco Colia