Interstellar
Il Fantasma
Interstellar è un film di fantascienza del 2014, ultima pellicola diretta dal regista Christopher Nolan. Contornato da un cast di indubbia qualità (Matthew McConaughey, Michael Caine, Jessica Chastain, Anne Hathaway e altri), racconta il viaggio interstellare di alcuni astronauti verso un nuovo mondo per salvare il genere umano dall’ormai prossima estinzione. Il titolo di questo CineSofia è: Il Fantasma.
Endurance
Quello che conosciamo è inevitabilmente legato alla nostra esistenza. Esistere significa per le nostre capacità cognitive avere una presenza, ma la presenza non sempre è una conoscenza. Sappiamo cose, ci fidiamo di nozioni e argomentazioni che ruotano intorno a dogmi consolidati eppure il nostro sguardo cerca sempre nel suo intimo di scrutare oltre l’orizzonte razionale.
Tom: Non esistono i fantasmi stupida.
Murphy Cooper: Ho trovato il nome, si chiama Poltergeist.
Tom: Papà diglielo.
Cooper: Be’, non è molto scientifico Murph.
Murphy Cooper: Hai detto che scienza è ammettere ciò che non sappiamo.
Cooper: Bene, vuoi parlare di scienza? Non dirmi solo che hai paura di un fantasma, no devi andare oltre, annotare i fatti, analizzare, arrivare al come e perché e poi esponi le tue conclusioni, ci stai?
Murphy Cooper: Ci sto!
Cosa accade in noi?
L’accadere, un mistero che viene stretto dal pugno del tempo senza sapere se porterà un messaggio positivo, è un rollio che penetra e disorienta i nostri pensieri. L’accadere potrebbe non accadere come potrebbe accadere così in questo elastico di attesa il nostro animo è turbato. Qualunque avvenimento, desiderato o rifiutato rientra nel nostro spazio di possibilità, un luogo senza sapore o odore, solo una landa di terra che aspetta di essere calpestata nella speranza possa rivelarsi fiorente e appagante. Tuttavia, l’accadere non è soltanto qualcosa di esterno a noi, un caos di opportunità che scivola nel divenire dell’essere, accadere è anche un accader-ci. Ciò che avviene non è soltanto un punto dove appoggiamo il nostro interesse ma una colla che aderisce al nostro profondo esistere.
Cooper: Che cos’hai Murph?
Murphy Cooper: Perché tu e la mamma mi avete chiamato come una cosa brutta?
Cooper: No, non è vero.
Murphy Cooper: La legge di Murphy.
Cooper: La legge di Murphy non significa che succederà una cosa brutta ma che tutto quello che può accadere, accadrà e a noi questo non dispiaceva per niente.
Esistere implica vivere in determinate condizioni, fare scelte che possono rivelarsi dolorose o inopportune quindi molte volte siamo costretti ad adattarci, a trovare una corrispondenza tra ciò che siamo e ciò che possiamo.
Murphy Cooper: Non possiamo lasciarlo andare? Non faceva del male a nessuno.
Cooper: Deve imparare ad adattarsi, come tutti noi.
Possiamo avere tutto ciò che vogliamo?
Preside: Siamo una generazione di guardiani Cooper…
Cooper: È come se ci fossimo dimenticati chi siamo Donald, esploratori, pionieri, non dei guardiani.
Donald: Quando ero bambino sembrava che inventassero qualcosa di nuovo ogni giorno, qualche aggeggio o un’idea, ogni giorno era Natale ma sei miliardi di persone, prova solo a immaginarlo e ognuna di queste persone che vuole avere tutto…questo mondo non è così male…
Cooper: Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento, ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango.
I confini sono delle fragili linee immaginarie, abili strumenti di persuasione per stemperare la nostra brama di conoscenza. Siamo costantemente alla ricerca di un senso e di un successo per soddisfare i nostri irrefrenabili desideri eppure delle zone d’ombra oscurano la nostra isterica destinazione. Una frenesia inspiegabile e una cieca ricerca tramutano l’uomo non in un costruttore ma in un lento distruttore. Vogliamo tutto ad ogni costo, non esitiamo nelle nostre camuffate azioni e barattiamo il nostro benessere con il nostro essere. Siamo pionieri di un tempo remoto che divorano ogni cosa per realizzare un disegno privo di significato. Esploratori immersi in una tempesta di sabbia, poveri di parole e di idee non abbiamo altro scopo se non quello di sopravvivere. Brancoliamo nel mondo con estrema rassegnazione, confusi e impotenti, storditi da un flusso d’informazioni che non abbiamo il tempo di capire.
Cooper: Ok, adesso deve dirmi qual è il suo piano per salvare il mondo.
Professor Brand: Non siamo destinati a salvare il mondo ma ad abbandonarlo…Trovaci una casa.
La verità è che ci sentiamo persi, ci sentiamo abbandonati da tutti. L’universo è un tempio immenso, così vasto che è più facile ignorare che cercare, ogni dio è uno scudo perfetto per le nostre paure e la civiltà, l’agognata El Dorado degli emarginati, è un posto brutale per ogni forma d’innocenza. I motivi del nostro agire sono discutibili perché spinti da una ragione assoggettata al bisogno e non al sogno. Abbiamo smesso di sognare, abbiamo svenduto il nostro avvenire al divenire, artificiale e artificioso, trama di uno schema degradato nel suo respiro più vero. L’agire non è sostenuto da principi di condivisone o partecipazione, l’uomo moderno si nutre di un individualismo esasperato, ornato da una socialità virtuale ed effimera che lo proietta in una dimensione arida e asettica.
Noi non pensiamo ancora in modo abbastanza decisivo l’essenza dell’agire. Non si conosce l’agire se non come il produrre un effetto la cui realtà è valutata in base alla sua utilità. L’essenza dell’agire, invece, è il portare a compimento. Portare a compimento significa: dispiegare qualcosa nella pienezza della sua essenza, condurre-fuori a questa pienezza, producere. Dunque può essere portato a compimento in senso proprio solo ciò che già è. Ma ciò che prima di tutto “é” è l’essere. Il pensiero porta a compimento il riferimento dell’essere all’essenza dell’uomo. Non che esso produca o provochi questo riferimento. Il pensiero lo offre all’essere soltanto come ciò che gli è stato consegnato dall’essere. Questa offerta consiste nel fatto che nel pensiero l’essere perviene al linguaggio. Il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa dimora. Il loro vegliare è il portare a compimento la manifestatività dell’essere; essi, infatti, mediante il loro dire, la conducono al linguaggio e nel linguaggio la custodiscono. Il pensiero non si fa azione solo per il fatto che da esso scaturisce un effetto o una applicazione. Il pensiero agisce in quanto pensa.
[Heidegger Martin, Lettera sull’umanismo]
Donald: Questo mondo non ti è mai bastato vero Cooper?
Cooper: Perché sento che andare nello spazio è quello per cui sono nato, perché mi entusiasma, no, questo non lo rende sbagliato.
Donald: Può darsi, non fidarti della cosa giusta fatta per i motivi sbagliati, è il perché che conta, è basilare.
Cooper: E il perché è solido…questo mondo è una miniera Donald, è da un pezzo che ci sta dicendo di andarcene…l’umanità è nata sulla terra ma non è destinata a morirci.
Donald: Tom se la caverà ma devi sistemare le cose con Murph.
Cooper: Lo farò
Donald: Senza fare promesse che non sai se potrai mantenere.
Siamo un ricordo?
Difficile capire quale siano le ragione del nostro essere-nel-mondo, addirittura folle credere di poter pensare ad un viaggio senza fine. Che ci piaccia o no noi siamo un “ricordo prossimo”, siamo una presenza che a poco a poco si trasformerà in un’assenza, siamo dei fantasmi ancora fatti di carne e ossa.
Cooper: Dopo che siete nati voi tua mamma mi ha detto una cosa che non avevo mai capito. Ha detto: ora siamo qui solo come ricordo per i nostri figli. Credo di aver capito che cosa voleva dire, quando diventi genitore sei il fantasma del futuro dei tuoi figli.
Murphy Cooper: Hai detto che i fantasmi non esistono.
Cooper: È così Murph, Murph guardami, io non posso essere il tuo fantasma adesso, io devo esistere…
Tuttavia, un ricordo è sempre un seme piantato nel cuore delle persone. Ciò che lasciamo è un testimone che sedimenta nei luoghi del passato, un’immagine sfogliata e spogliata dall’abito dell’assenza. Come si fa a guardare un fantasma senza restare coinvolti? Il linguaggio dell’uomo è l’eredità del ricordo, una casa abitata da infinite ombre e agitata dalla profondità dell’essere.
Come si comunicano le emozioni?
Cooper: Ehi Tars, di sincerità qual è il tuo parametro?
Tars: 90%
Cooper: 90%
Tars: La sincerità assoluta non sempre è la forma di comunicazione più diplomatica o più sicura con degli esseri emotivi.
Custodiamo i nostri sentimenti gelosamente, un forziere di tesori che nascondiamo per paura di essere derubati. Condividere le emozioni, le nostre preziose emozioni richiede fiducia e spesso ci sentiamo impreparati e insicuri. Il linguaggio è la forma più alta e potente che l’uomo possa possedere, una dotazione che nessuna creatura sulla terra può vantare. Dunque, perché può rivelarsi pericolosa? Comunicare il nostro stato d’animo, ciò che sentiamo, l’essere sinceri, totalmente, può ferirci, renderci vulnerabili. La sincerità assoluta può far male non solo a chi la esercita su se stesso ma anche a chi la riceve perché ognuno di noi vorrebbe sentirsi sempre apprezzato e stimato.
Non andartene docile in quella buona notte
Non andartene docile in quella buona notte,
I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
Infuria, infuria, contro il morire della luce.
Benché i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta
Perché dalle loro parole non diramarono fulmini
Non se ne vanno docili in quella buona notte,
I probi, con l’ultima onda, gridando quanto splendide
Le loro deboli gesta danzerebbero in una verde baia,
S’infuriano, s’infuriano contro il morire della luce.
Gli impulsivi che il sole presero al volo e cantarono,
Troppo tardi imparando d’averne afflitto il cammino,
Non se ne vanno docili in quella buona notte.
Gli austeri, prossimi alla morte, con cieca vista accorgendosi
Che occhi spenti potevano brillare come meteore e gioire,
S’infuriano, s’infuriano contro il morire della luce.
E tu, padre mio, là sulla triste altura maledicimi,
Benedicimi, ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego.
Non andartene docile in quella buona notte.
Infuriati, infuriati contro il morire della luce.
Dylan Thomas
Lazarus
Il tempo può salvarci?
Apriamo gli occhi ogni giorno, fissando lo spazio esterno, mescolando i pensieri e le immagini che circolano nella nostra testa. Ci preoccupiamo del nostro avvenire, delle cose da fare, delle persone da incontrare; vivere è un impegno che oscilla tra passato e futuro. Siamo sommersi dall’esistere, colmi di ricordi e sopraffatti da un tempo che non possiamo governare.
Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l’attesa.
[Sant’Agostino d’Ippona, Confessioni]
Come muoverci nel tempo se non possiamo capire dove siamo collocati nell’universo del vivere? Possiamo soltanto muoverci nel nostro ambito esistenziale, lasciando al pensiero il compito di legare il nostro essere nel mondo al tempo. Dunque, possiamo solo vivere nell’attesa, navigare in acque burrascose senza poter scorrere indietro il nostro tempo, rinchiusi in un corpo donato in prestito, vivendo le emozioni e l’ignoto con la stessa consapevolezza.
Amelia Brand: Il tempo è relativo, ok? Eh, può allungarsi, restringersi ma non può scorrere all’indietro, non può farlo, no. La sola cosa che può muoversi tra le dimensioni come il tempo è la gravità.
Cooper: Ok, sì ma gli esseri che ci hanno portato qui, loro comunicano tramite la gravità, giusto?
Amelia Brand: Sì
Cooper: Eh se ci parlassero del futuro?
Amelia Brand: Può darsi.
Cooper: Ok, se loro possono.
Amelia Brand: Loro? Sono esseri di cinque dimensioni. Ok, per loro il tempo può essere un’altra dimensione fisica, per loro il passato potrebbe essere un canyon in cui possono entrare e il futuro una montagna da scalare ma per noi non lo sono, ok? Senti Cooper ho sbagliato, mi dispiace ma tu sapevi della relatività.
Cooper: Brand, mia figlia aveva dieci anni, non potevo parlarle di Einstein prima di partire.
Amelia Brand: Non potevi dirle che andavi a salvare il mondo.
Cooper: No! Quando diventi genitore una cosa ti è molto chiara, vuoi che i tuoi figli si sentano al sicuro, non puoi dire a una bambina di dieci anni che il mondo sta per finire.
Per quanto la morte ci spaventi, perché conclusione di un cammino che non vogliamo abbandonare, un mondo che non vogliamo lasciare, è il tempo il vero architetto del nostro destino.
Professor Brand: Non ho paura della morte ma del tempo.
Tutto ciò è dovuto al fatto che noi pensiamo come individui e non come una comunità di persone che è vissuta inconsapevolmente per noi.
Professor Brand: Inoltrandoci nell’universo dobbiamo affrontare la realtà del viaggio interstellare, dobbiamo arrivare molto al di là della nostra personale esistenza, dobbiamo pensare non come individui ma come specie.
Cosa trascende le dimensioni di spazio e tempo?
La logicità del nostro linguaggio ci distingue e ci eleva ma allo stesso modo ci vincola in una dimensione materiale. L’uomo è misura di se stesso e del suo agire ma arranca fuori i parametri di conoscibilità. La concretezza è uno dei paradigmi dell’uomo moderno, risultato e successo portano in molti casi a smettere di cercare. Tendiamo a considerare la ricerca un percorso esterno al nostro io, una meta da raggiungere, un sole da venerare trascurando l’aspetto della percezione e dell’emotività. È il nostro mondo interiore che dobbiamo coltivare e cercare continuamente per trascendere una fisicità costruita su numeri e teorie.
Amelia Brand: …forse abbiamo passato troppo tempo cercando di risolvere tutto con la teoria.
Cooper: Sei una scienziata Brand.
Amelia Brand: E allora ascoltami quando dico che l’amore non è una cosa che abbiamo inventato noi, è misurabile, è potente, deve voler dire qualcosa.
Cooper: L’amore ha un significato sì, utilità sociale, solidarietà, allevare bambini.
Amelia Brand: Amiamo persone che sono morte, qui non c’è un’utilità sociale.
Cooper: Non c’è.
Amelia Brand: Forse vuol dire qualcosa di più, qualcosa che non possiamo ancora afferrare, magari è una testimonianza, un artefatto di un’altra dimensione che non possiamo percepire consciamente. Io sono dall’altra parte dell’universo attratta da qualcuno che non vedo da un decennio, una persona che forse è morta. L’amore è l’unica cosa che riusciamo a percepire che trascende le dimensioni di tempo e spazio. Forse di questo dovremmo fidarci anche se non riusciamo a capirlo ancora.
Cosa ci rende umani?
L’umanità non è un termine che possa definirsi propriamente positivo. Siamo esseri fortemente contradditori, capaci di cose straordinarie ma anche di cose terribili. La condivisione viene alternata alla distruzione perché sopravvivere, pensare alla propria conservazione genera pensieri atroci. La paura confonde a tal punto da considerare l’altro, il diverso, un nemico da eliminare.
Dr. Mann: Lei ha dei legami ma anche senza una famiglia le posso assicurare che quel desiderio di stare con altre persone è potente, quell’emozione è alla base di quello che ci rende umani, non è da sottovalutare…Sa perché non potevamo mandare delle macchine in queste missioni, vero Cooper? Una macchina non improvvisa bene perché non si può programmare la paura della morte. Il nostro istinto di sopravvivenza è la nostra più grande fonte d’ispirazione. Prendiamo lei come esempio. Un padre con un istinto di sopravvivenza che si estende ai propri figli. Per la ricerca sa quale sarà l’ultima cosa che lei vedrà prima di morire? I suoi figli, i loro volti, in punto di morte la sua mente spingerà ancora un po’ di più per sopravvivere.
Le scelte portano necessariamente a delle rinunce così ci troviamo costretti ad entrare nella dimensione del lasciare, non per volontà ma semplicemente per quello spirito di sopravvivenza che ci contraddistingue.
Tars: La terza legge di Newton. L’unico modo che gli umani hanno trovato per andare avanti è lasciarsi qualcosa alle spalle.
Dove stiamo andando?
Spesso il domandare provoca turbamenti così profondi da impoverire ogni possibile risposta. Noi siamo il centro del nostro universo, confinati nel tempo, orfani di un senso privo di sorprese in cerca di attese lontane dal nostro essere e dal nostro piccolo tessere.
Cooper: Io voglio sapere dove siamo, dove stiamo andando.
Francesco Colia