Il luogo è sempre un sentiero disperso, terra s-battuta di un impotente perire, corpo, stupore, stupido ambire. L’intenzione è sempre quella di costruire un villaggio perfetto, illuminare ogni angolo di strada con parole e sorrisi ma la notte cala inevitabilmente ad ogni divenire. Le solite sagome popolano gli spazi del capire, inciampo solidale di un continuo subire così il mondo si riversa nell’acqua. Sciolti in tragiche accettazioni, non desideriamo altro che uno scorcio di attenzioni mentre i pensieri precipitano in pericolose finzioni. Salire in superficie, con il fiato in gola e il cuore a poppa e sentire il non sentire, vedere il non vedere, toccare il non toccare. Il fumo invade le nostre intenzioni così quel villaggio si tramuta in un rudere privo di emozioni. Crollano i muri come pezzi di carta, macerie del semplice apparire mentre le finestre sbattono sul tuo finire. Il silenzio, un tempo balbettio di un sensato agire annega in un candido ferire. Eppure il luogo non si dilegua, sempre abbracciato al tuo pensare, al tuo sognare così da tener fermo qualunque tuo fragile andare. Continue tempeste circondano le forme del vedere, sdradicano ogni tua briciola di sapere. C’è la possibilità di sceglier-si senza cadere? Si è sempre ai piedi del precipizio, costantemente in viaggio per un nuovo inizio mentre la mente soffoca senza alcun indizio. Qual è la nostra direzione? Gli odori si sporcano freneticamente di vernice, strati di un colore opaco e indolore. Eppure il luogo non si nasconde, sempre stretto al tuo respirare, al tuo parlare così da costruire qualunque tuo piccolo desiderare. Si emerge dal torpore mentre l’acqua è ancora aderente al tuo stupore ma sono soltanto gocce, anime sepolte nel tuo favore, alberi spogli di ogni calore. È sera, le nuvole dormono sul tuo continuo portare e non c’è niente che può franare.
Francesco Colia