Tutti siamo orientati, bene o male, verso un insieme che ci rassicuri perché la nostra voce deve ricevere la giusta considerazione e attenzione e ciò può accadere solo se viene sostenuta dal maggior numero di persone.
Tuttavia, qual è il potere di una voce?
La massima che afferma che le idee con il più alto consenso si rivelano migliori è una vera superstizione. L’umanità poggia su una solida consapevolezza: un’idea (una voce) accettata dalla maggioranza è un’idea legittima e adeguata.
C’è ormai una nevrosi di massa contagiosa che coinvolge ogni aspetto della nostra vita, sia pubblica che privata: tutti dobbiamo arruolarci all’idea-maggiormente applaudita eppure, chi rappresenta una civiltà, un aggregato di persone, è una piccola minoranza di uomini e spesso questa élite tira i fili della massa partorendo, in tempi piuttosto brevi, idee e programmi ben poco rispettosi dei loro “selezionatori”.
La rappresentanza maggioritaria ha un valore qualitativo?
La minorità che si oppone ad un sistema democratico maggioritario può non di rado proporre progetti costruttivi, tuttavia, non avrà nessuna “voce” in capitolo. Dunque, possiamo affermare senza ombra di dubbio che le masse sono una minorità quantitativamente rilevante che delega ad una rappresentanza quantitativamente minoritaria le sorti del proprio divenire.
L’élite è un gruppo formatosi nella massa?
Un altro aspetto importante sui rappresentanti è la loro formazione sociale, la loro esperienza “educativa”. Tutti coloro che detengono il controllo sulle masse hanno sempre vissuto in uno stato di relativo benessere (tranne rare eccezioni) che li ha tenuti a debita distanza da ogni ragionevole comprensione del problema umano comune. Ogni punto di controllo: politico, economico, giudiziario, finanziario, scientifico etc. acquisisce il proprio consenso sulla distanza e l’estraneità rispetto a coloro che soffrono e supportano la loro affermazione. Il paradosso della struttura sociale moderna restituisce una visione distorta dei valori umani. La minoranza maggiormente presente e socialmente più debole, silenziosamente trascina la propria esistenza in un girone infernale eternamente in ripetizione; la maggioranza dell’élite in misura minore presente e socialmente più potente e ricca, consolida ad alta voce la propria posizione sostituendosi come un oracolo agli dei e offrendo spesso soluzioni fantasiose e irrilevanti.
E’ possibile una soluzione condivisibile tra le due “fazioni”?
La lotta che persiste tra questi due schieramenti, verticalmente opposti, regola l’esistenza di un pianeta intero e con le dovute proporzioni lascia intatta ogni forma di discriminazione sociale. Tutte le tipologie di potere hanno raffinato le loro “armi” di asserzione sostituendo una “carrozza” con un “aereo” e agendo su una piattaforma apparentemente democratica, hanno consolidato la loro autorità grazie al controllo della comunicazione. È l’epoca in cui ci si autoproclama Signori della terra, eroi di un nuovo futuro, arbitri del giusto e del buono ma in definitiva ciò che è mutato realmente nella storia dell’uomo “civile” è soltanto l’abito. L’instabilità e il caos sono linfa vitale per un sistema politico-economico che non ricerca il bene comune, l’equilibrio tra i propri desideri e l’armonia con il tutto, ma mira soltanto all’affermazione di una minoranza benestante e alla sottomissione di una maggioranza [dis]persa. Il punto di mediazione tra le due fazioni, il collante che può “ricongiungerle” è contenuto nella “rinuncia” ossia nell’eliminazione di ogni forma di discriminazione sociale. Tuttavia, la rinuncia deve essere accompagnata all’educazione e alla ricerca di un bene ragionevolmente condiviso da tutti che metta in rilievo le diversità ma non accentui le differenze. L’umanità è un agglomerato di diversità che deve saper condividere ogni piccolo corpuscolo vivente. Ecco perché una proposta che porti vantaggio alla comunità sarà sempre messa in discussione in quanto potenziale strumento di rinuncia per l’élite dominante. Il mondo ruota intorno a questa maggioranza di “poteri forti”, multinazionali di profitto e sistemi politici avvizziti, che regolano (non più in modo occulto) l’esistenza di tutte le forme di vita. Uno degli aspetti più crudeli e spietati di questo sistema è la coltivazione e la conservazione della “massa-povera”. Inutile nascondere la testa sotto la sabbia, c’è bisogno di manodopera povera e facilmente manipolabile (anche i cosiddetti “ribelli”) per mantenere integre le posizioni dominanti dell’élite maggioritaria. I focolai che si accendono per protestare contro questa sedimentazione di onnipotenza nella maggioranza sono derisi e emarginati non solo dall’impianto di potere ma anche dai quei punti di controllo che non hanno alcuna voglia di “cedere” i loro piccoli privilegi. Raggiunto uno stato di apparente benessere tutti restano aggrappati alla loro condizione cercando di allontanare ogni possibile rischio di caduta. Il silenzio della minorità è l’unica alternativa contro questo sistema di potere ma realizzare un’azione efficace che porti benessere a tutte le forme di vita richiede la massima condivisione e collaborazione tra le due fazioni. Il bene della comunità non può dividersi e perdersi in voci silenziose e contrastanti, tutti dobbiamo rinunciare a qualcosa per sostenere la vita e la dignità per viverla.
La cose possono cambiare in vista di un ideale comune?
La tendenza ci induce a pensare che nulla cambierà, tutte le strutture di potere e i gruppi sociali di rilievo cercheranno di difendere le loro posizioni ad ogni costo anche a discapito del mondo stesso. Ma il malato sofferente e emarginato non sopporterà a lungo di essere “cibo” per i potenti e quello che un tempo poteva essere una condizione accettabile ora rischia di essere un detonatore in attesa di esplodere. Nonostante il controllo e la distorsione dei mezzi di comunicazione ogni costante “visibilità” genera inevitabilmente una sorte di ostilità che può rendere il “selezionatore” un inaspettato nemico. Il silenzio non potrà durare all’infinito, e finché non si capirà che solo con la responsabile armonizzazione dei membri della comunità si può ottenere una voce conciliante che soddisfi i bisogni di ogni singolo rappresentato, il pericolo di cadere nell’oblio del “non-esserci” sarà una possibilità concreta. Ma l’uomo deve saper vivere in equilibrio anche con la natura altrimenti ogni idea di condivisione naufragherà nella notte dei tempi.
Francesco Colia