La quotidianità non si traduce sempre in esperienza di gioia. Fin da piccoli ne facciamo scoperta quando intenti nel gioco veniamo interrotti o quando, abituati alla rassicurante presenza dei nostri genitori, improvvisamente veniamo lasciati con bambini che ci strappano i giochi dalle mani e con adulti estranei che si sforzano di fare parti uguali con tutto ciò che è “mio”. Pian piano capiamo che le cose belle durano poco e che la nostra giornata può essere tempestata di piccoli interminabili imprevisti che ci scompigliano i capelli.
Crescendo riusciamo a dare un nome a questa nebulosa esperienza, la quale ci lascia un senso di insoddisfazione e incompiutezza e la chiamiamo fugacità o precarietà.
Non ci piace questa parola, non la associamo a bei ricordi e lottiamo strenuamente per allontanare da noi tutto ciò che è precario. Abbiamo bisogno di stabilità, di relazioni interpersonali durature, tutto quanto ci possa garantire continuità di benessere.
La precarietà non era quanto nella quotidianità ci sottraeva la gioia?
Eppure siamo un attimo fuggente che si gioca nel mistero della vita. Come mai pensiamo così male di noi stessi?
Noi siamo quella precarietà che vorremmo negare, noi siamo il fugace per eccellenza, perchè la bellezza del mondo e della natura è sopravvissuta al più grande genio e al più grande santo.
Forse non era la precarietà a sottrarre la gioia al nostro quotidiano, ma il quotidiano a derubarci di ciò che rende prezioso ogni attimo: la sua irrimediabile fragilità, la sua fugacità.
La gioia non sta nella continuità del benessere che ci illude di un’eternità che non ci è permessa, ma in quell’attimo strappatoci da bambini, vissuto così intensamente da indurci a piangere e strillare perchè non ci venga tolto.
E una volta che non c’è più non ci resta che abbracciare con generosità la precarietà come sfida e come destino, senza rimpianti e senza rancori, senza false illusioni, con quella gioia palpitante nel cuore di chi è quel qualcosa di irripetibile che sta per accadere nell’immenso mistero della vita dell’altro e del mondo.
Un attimo ed è lì… un attimo ancora non c’è più. Verrà forse dimenticato? Dipende dalla bellezza che avrà saputo donare in quell’attimo.
Antonella Foderaro