L’immobilità si circonda di amici che corrono nelle direzioni più impensabili così il vento che un tempo solleticava il tuo mulinello colorato smette di soffiare. Ci si può incamminare con fierezza e coraggio come le pietre che cadono da un dirupo o restare fermi e inermi come sassi in una landa di terra desolata però l’andare, lo spingersi oltre le paure, le domande, i dubbi, è un con-oscere, un con-durre, un con. Con i nostri pensieri ci immergiamo in compagnia delle emozioni, con loro dipingiamo le nostre immagini quotidiane. Siamo con il mondo, con tutto il nostro precario equilibrio progettiamo un divenire di condivisione, scagliando sul muro soltanto rabbia e disperazione. Eppure siamo anche piccole marionette senza approdi sicuri, facili saluti, fili di grano stretti in sorrisi muti. Qual è la scelta che ricade sulla domanda? Con o senza cosa siamo? Sul ciglio del vivere ci affacciamo alle possibilità dell’abbracciare, tocchiamo i tasti del sentire perché con-fidiamo nel nostro vedere, sbagliato o giusto che sia, unica forma dell’appartenere. Sì, si appartiene con facilità al mondo perché questa è la sola occasione che ci è stata affidata. Il nostro con-statare, con-fermare, con-siderare, con-trattare non fa altro che indicare la strada del divenire, unica direzione del capire. Si è sempre con qualcosa o qualcuno, tributo della solitudine al desiderio di con-futare il nostro fragile naufragare e ciononostante non abbiamo premura dell’opportunità del restare. Senza avvisi, senza parole, senza sostegno ci riversiamo nei vuoti del percepire, nelle azioni del ferire. Senza costruire, senza finire, non facciamo che tradire l’unico posto che cattura il nostro dire. La scelta che riusciamo ad afferrare è quella del portare, senza arrestare e con una smisurata voglia di sondare, il nostro tentare. Cosa siamo senza il nostro con? Come possiamo respirare se il nostro con è calpestato dal senza? Si recidono sempre i rami più secchi, le scelte più disastrose eppure non sappiamo cosa siamo se la luce si oscura sempre alla fine di una giornata. Quanta velocità è espressa nel vedere e tutto si rallegra di un sorriso amaro, luogo cupo di un toccare astuto. Senza aggiungere altro al fragile riempire, con un fiato che stenta a sentire, la giornata si veste di tante domande, con un velo di malinconia, un’immagine di simpatia. Siamo, questa è la risposta che cade con fare assordante e la luce può per una volta restare senza la sua ostinata fatalità, chiusa, soffocata da quel che abbiamo sottratto con abilità.
Francesco Colia