I cannot see what flowers are at my feet,
Nor what soft incense hangs upon the boughs,
But, in embalmed darkness, guess each sweet
Wherewith the seasonable month endows
The grass, the thicket, and the fruit-tree wild;
John Keats, Ode to a Nightingale
Mi telefona verso le dieci meno un quarto. Passo il dito sul touch screen pensando che stia per comunicarmi qualche difficoltà, ma la prima cosa che mi dice è che è sull’autobus che la porterà da me.
Mi spiega di essere dovuta scendere due volte perché aveva visto i controllori e lei è senza biglietto: non aveva i soldi per comprarlo. Da quando è finito il lavoro a progetto in cui era impiegata come mediatrice culturale le difficoltà economiche che punteggiano la sua vita si sono acuite.
Arriva, ci prendiamo un caffè e mangiamo qualche biscotto al cioccolato. Tre ore da Cavour a Cecchignola[1]. “Uno dei tanti risvolti della povertà” e poi rimarca: “La povertà ha tanti risvolti”.
È sempre arguta, di intelligenza solida e carattere indomito. Anche in questo incontro mi lascia conoscere particolari della sua vita e del suo mondo che finiscono per creare un territorio comune di conoscenze variamente raggiunte, lei col suo vissuto, io dalla sua narrazione. Io posso solo immaginare, ma nell’ascolto vivo empaticamente la sua esperienza. Il mese di Luglio è legato al ricordo dell’abbandono del suo Paese. Mi rivela le ragioni per cui ha scelto quel preciso giorno per imbarcarsi.
Poco dopo la metà del mese cadrà l’anniversario di questo evento che costituisce tutt’ora uno spartiacque della sua vita. Debbo riferirmi al presente accennando a questa frattura perché molte condizioni non hanno permesso, o semplicemente favorito una piena integrazione. La riflessione mi spinge a chiedermi chi, proveniendo da un altro Paese, dove magari è stato educato con saldi principi morali e ha vissuto il miraggio di un’Italia patria di cultura e civiltà, ambirebbe ad integrarsi con il Paese che è diventato ora. Ogni anno a luglio lei ricorda questa frattura insanata, il dolore dell’abbandono, l’accoglienza, le prime speranze nel nuovo Paese che ha sempre considerato sua patria alla stregua dell’altra grazie a due nonni straordinari che in Italia vissero a lungo e al bilinguismo esercitato fin da piccolissima.
La lacerazione che lei vive è quella che dilania tutti coloro che, seppure in una maniera che la continuità e la consuetudine con il disagio hanno reso meno drammatica, avvertono una spaccatura tra l’ordo morale e il pensiero speculativo, a cui ritenevano dovessero riferirsi e tendere risultati e fatiche, e l’attuale razionalismo piegato alla tecnocrazia che coperto da immagini patinate e ammiccanti dilaga nei costumi odierni.
La forza di una donna simile sta nel cercare tutti i giorni il modo per realizzare una unità tra questi due mondi inconciliabili che si possono simboleggiare in due metà che trovano il loro punto di raccordo nel suo vissuto, nelle sue conoscenze, nelle sue esperienze: da una parte il suo Paese collocato in un luogo e in un tempo che non appartengono alla realtà transeunte, ma alla categoria dell’ideale e della rimembranza che guida il quotidiano e, dall’altra, il Paese in cui vive ora, che non posso chiamare Paese di arrivo perché è stato sempre presente nella sua vita, dove continua a lavorare e lottare ogni giorno con forza, intelligenza e tenacia perché si realizzi quella bellezza del pieno compimento umano che ha, lei come altri, sempre collegato al suo nome.
E se a tenerci con i piedi per terra ci pensano i vari risvolti della povertà, come impiegare tre ore per coprire il percorso tra Castro Pretorio e Cecchignola, o l’esperienza diffusa di non riuscire a farsi bastare i soldi fino alla fine del mese semplicemente per dover far fronte a necessità quotidiane, la solidarietà, la condivisione, l’impegno profuso negli ideali comuni potranno darci la spinta che ci eleva dalle meschinità che invischiano e avviluppano chi ha smesso di credere che l’altro sono io.
Cristina Polli
[1] Cavour e Cecchignola sono due zone di Roma; la prima è servita dalla metropolitana, la seconda si raggiunge con degli autobus dalla stazione metro Laurentina. Le distanza delle due zone con i mezzi pubblici è di circa un’ora.