Cos’è veramente questo mondo alternativo che ci risucchia? La via di fuga da una realtà che ormai ci ha nauseato o la fiducia ritagliata, in cerca di nuove vie per ricomporsi? La società e i cambiamenti ci costringono a rivalutare ciò che chiamiamo con tanta convinzione l’irrealtà, per contrapporla al palpabile, sempre più fragile, che soffoca i sogni sotto il peso di fittizi cambiamenti, d’informazioni e controinformazioni. Ciò che per convenzione millenaria è il mondo reale, diventa sempre più inconsistente, paralizza ogni stimolo, esiliandoci in una dimensione sempre meno vivida. L’uomo brama l’equilibrio, l’armonia e cerca d’inseguirle sfondando ogni sorta di ostacolo, a costo d’inventarsi un altro mondo, sostenibile perché apparentemente scevro da limiti. Escludendo le isole di felicità pseudogarantita che ognuno conserva con cura, non ci resta alcun posto più libero ed esteso di questo spazio aperto al pensiero, allo scambio e alla mutazione d’idee e perché no, anche alla trasfusione dei sentimenti. Cerchiamo di sfuggire al dilagante analfabetismo emotivo e intellettuale che avanza a macchia d’olio, seguendo le coordinate di questa consapevolezza, nella ricerca di oasi d’alchimia. Ma è davvero così, oppure anche in questo spiazzo fatto di schermi e tastiere che generano e riciclano pensieri, dove le distanze si attenuano, ci trasciniamo la nostra natura, che fatica sottrarsi al giudicare secondo schemi di pura soggettività? Forse è solo uno sdoppiamento, un vivere in una zona crepuscolare, fatta di luci e ombre che si confondono e si sovrappongono, un grande palco con spettatori conosciuti e sconosciuti, dove ognuno recita e cerca di imporre, spronato dalla voglia di lasciare un segno di se stesso. Il circuito scivoloso inafferrabile e ineffabile ci guida, regalandoci l’illusione di poter oltrepassare il limite del sostenibile, cacciando ogni possibile agonia. L’io cerca la verità, ma teme le scommesse con se stesso e l’apertura di nuovi orizzonti si piega davanti alla mania di protagonismo. Un po’ come vivere nel paese di Alice, dove i valori acquistano un colore graduato dall’assenza di prospettive diverse. L’impreciso qui come altrove, alla fine lascia spazio a quel che realmente siamo, tanto che si scoprono sfaccettature di sé e degli altri prima ignote o irriconoscibili che contrastano gradualmente quel senso di serenità prima colmo d’immaginari arcobaleni. Un mondo di storie che s’intrecciano, piogge riversate su anime in cerca di punti fermi, di una sponda su cui approdare in un mondo che manca di fari guida. Navighiamo sulle onde di un oceano di fantarealtà, dove si sfiora il tempo e le convinzioni si ergono su sabbie mobili. In fondo, la grande fortuna del mondo virtuale deve molto al fascino irresistibile che l’uomo prova verso la musica dell’ignoto, verso nuovi scenari da scoprire e scolpire.
Cecilia Ciama