Riparare. Un termine che troppo spesso sembra accompagnare la nostra vita. Etimologicamente la parola riparare proviene dal latino e vuol dire “disporre, preparare di nuovo”. Quindi “Riparare” descrive la vera e propria azione del mettere di nuovo a posto qualcosa, che per una qualsiasi ragione non era più nella giusta condizione.
La vita dell’uomo è una continua ricerca dell’equilibrio, che purtroppo in ogni ambito viene continuamente ostacolato, e noi, in bilico, consumiamo la maggior parte delle nostre energie per ritornare all’omeostasi iniziale.
Ma perché dobbiamo spendere tutta questa energia per tornare ad un punto di partenza?
Io credo fortemente che le destabilizzazioni generate dal contesto in cui viviamo, siano un forte stimolo, per iniziare il cambiamento. L’accettazione di questo cambio di equilibrio, deve essere la base della nostra crescita personale, e non dobbiamo ostinarci a voler per forza “riparare”tutto.
Certo il percorso non è facile. Fin dalla nascita ci viene insegnato a non “rompere” niente, che sia materiale o che sia “emotivo”, e nel caso rompessimo qualcosa dobbiamo subito muoverci e spendere più energie e tempo possibile, per riparare il tutto e far tornare le cose come erano prima che le cambiassimo. Perfino dentro di noi, in ognuna delle nostre miliardi di cellule, ogni secondo i “sistemi di riparo”, lavorano incessantemente per mantenere intatto il nostro codice genetico e difenderci da devastanti mutazioni.
Quindi siamo destinati a dover riparare ogni cosa?
Io credo di no. E la dimostrazione più grande ce la regala proprio il nostro organismo. Infatti, studi sui nostri sistemi del riparo, hanno dimostrato come sia praticamente quasi impossibile, o comunque rarissimo, che dei danni e delle mutazioni possano sfuggire a questo incredibile controllo. Eppure l’incidenza di malattie dovute a mutazioni del genere è altissima, basti pensare ad esempio che 1 persona su 5 nel mondo contrarrà nell’arco nella sua vita una forma di tumore.
Sembra abbastanza chiaro che la logica del “riparare” abbia una falla intrinseca nel suo sistema, e che quindi fin dalla nascita, sia dall’esterno con l’educazione, sia dall’interno con i nostri processi biologici, siamo schiavi di un sistema fallace, non funzionante.
Tuttavia il processo non è irreversibile, ma come direbbe Einstein va semplicemente introdotta la quarta dimensione. Difatti la variabile mancante è il Tempo.
Quando ripariamo qualcosa cerchiamo inevitabilmente di portare indietro, con le nostre azioni, le lancette dell’orologio per tornare al punto iniziale, ma questo va contro l’andamento del tempo che prevede un susseguirsi di passato-presente-futuro. Se il nostro presente è diverso dal passato, è solo perché esso è un passaggio per l’arrivo ad un nuovo equilibrio, all’approdo nella spiaggia del futuro dove tutto può essere o può non essere. La logica del riparo è alla base dell’omologazione della vita, e spesso non ha senso perché specialmente a livello emotivo proviamo troppe volte la sensazione che qualcosa sia divenuto irreparabile, eppure inconsciamente ricadiamo sempre negli stessi errori, cercando di ristabilire quello che per noi è più sicuro, più “vissuto” rispetto a qualcosa di oscuro e di cui non conosciamo le coordinate.
Il ricordo diventa l’appiglio su cui basare il riparo, e noi rimaniamo così fermi, mentre il tempo scorre inesorabile.
Un detto napoletano dice “Apparann’ chesta vita se ne va..”, “Riparando questa vita se ne va..”.
E come spesso accade, i detti popolari in poche parole, danno un senso e una forza ai concetti, che non basterebbero pagine e pagine di trattati filosofici.
Davide Mangani [TheMangoBlack]