E all’improvviso la pioggia, forte, scrosciante. Ne sento il rumore sulle persiane che, appena buio, chiudo velocemente. Il suono dei battenti e delle maniglie che girano sono rassicuranti, lasciano fuori il mondo, i suoi rumori, gli orologi nelle stazioni, le scale mobili, le porte scorrevoli, gli altri, quelli che chiedono e che aspettano che tu risponda, quelli che ti guardano e che vorresti non si accorgessero di te. Anche l’ultima imposta è chiusa.
E sarà stato il rumore della pioggia, il buio nella stanza, o, come voleva Proust, il potenziale magico che hanno in sé certe situazioni, per cui un ricordo disperso nel passato, riemerge all’improvviso alla coscienza e…. io mi materializzo nella camera da letto della mia vecchia casa, in una sera di venticinque anni fa. Fuori un forte temporale, in casa io e i miei figli. Loro, tra i loro giochi nella loro stanza che non vogliono saperne di andare a dormire, io nella camera da letto in fondo al corridoio. Ad un tratto un tuono assordante, la luce che va via ed io che corro per raggiungerli. Qualche passo e…mi sento tirare da un lato, qualcuno mi trattiene per il maglione. Raggelata, mi fermo, è buio pesto, chiamo per nome i miei figli, non rispondono. Mi muovo lenta ed ancora sono trattenuta nell’andare, mi fermo, ho paura di procedere ma l’istinto materno è più forte, ancora tento qualche passo mentre chiamo i bambini, il terrore mi strozza la voce. Nessuno risponde e io non riesco a divincolarmi, mi abbasso lentamente in una posizione di difesa e all’improvviso ritorna la luce, quasi a terra mi volto e vedo un lembo del mio maglione impigliato nella maniglia della porta. Mi libero, corro verso la stanza dei miei figli e li trovo addormentati sul tappeto con in mano i loro giochi. Li metto a letto e mio marito rientra.
C’è voluto un bel po’ perché la smettesse di prendermi in giro per via dei “fantasmi” ma quella sera, mentre fuori diluviava, per un attimo ho pensato che in quella casa c’era tutto quello che volevo nella mia vita. Allora non lo sapevo ma quell’attimo era la “felicità”.
Annamaria Sessa