Più di così non posso fare, più di questo non posso dare, è inutile, tanto non ce la faccio, ormai lo so come va a finire, quello che avevo da dire l’ho detto, il treno ormai l’ho perso. Quante volte abbiamo ascoltato e proferito queste frasi, le braccia stanche cadute lungo i fianchi, quasi a voler contenere qualsiasi altro sforzo. E ogni volta, se siamo fortunati ad avere intorno qualche amico pronto a consolarci, ecco di rimando: non ci pensare, lascia stare, cerca di distrarti, pensa a te, volta pagina e via di seguito. La compiacenza non ha mai curato ferita alcuna, non ci spinge ad essere migliori, non ci fa crescere, ci costringe piuttosto in uno stato di stagnante rassegnazione. Una distrazione che non guarisce la lacerazione della nostra anima, ma ci spinge a guardare da un’altra parte, come se il dolore, non pensato, sparisse. Questo antidoto, senza dubbio efficace nel caso dei malati immaginari, suona come una beffa nei confronti di chi la vita è abituato ad affrontarla con una certa autenticità di sentimenti e parole. Solo chi ci ama ci spinge ad essere migliori e non vuole vederci sconfitti di fronte alle altalenanti vicende della vita, solo chi ci tiene davvero a noi non ci lascerà soli davanti a scelte difficili, ma necessarie alla nostra crescita, anche se queste dovessero comportare un distacco parziale o definitivo. Volere il bene dell’altro significa proteggerne la crescita e lasciare che si sviluppi al massimo delle proprie possibilità, senza compiacerne i momenti di arresto nel timore che uno sviluppo integrale possa impoverirci della sua presenza. Senza esaltarne capacità inesistenti, perché la frustrazione di fronte a quanti hanno davvero quel dono, non ne scoraggi l’effettivo potenziale. Essere uomini e donne per l’altro, significa aver cura prima di tutto di se stessi, del proprio mondo interiore, del proprio benessere ed equilibrio, senza troppe indulgenze o eccessiva severità. Chi ci ama non ci paragona a nessuno, non paragona il nostro prima con il nostro poi, se non nella misura della crescita. Non vuole essere il maestro delle nostre scelte, ma solo un esempio di fedeltà nelle diverse, a volte imprevedibili, stagioni della vita.
Antonella Foderaro
Voler bene è anche restare in uno spazio tangibile senza soffocare, cercando di accordare i battiti del cuore con quelli dell’altro, essere convergenza di pianti e sorrisi, scordando il proprio egoismo. Voltiamo realmente pagina soltanto quando siamo in grado di metabolizzare quella precedente, altrimenti rischiamo di restare immobili nella nebbia del dolore per un tempo indefinito. La fedeltà non è duplice, è una perfetta sovrapposizione. Bravissima come sempre! 🙂
Leggendo non ho potuto fare a meno di riconoscere alcune mie considerazioni.
Forse amare i propri figli e nel contempo lasciarli liberi di realizzarsi è la misura del prendersi cura, nel giusto modo.
Rispettare le potenzialità di ciascuno, con la consapevolezza e l’accettazione serena delle personali limitazioni.
Questo mi è stato d’aiuto anche nel rapportarmi con gli altri in genere, amati e no.
Un bell’articolo, chiaro, totalmente condivisibile.
cb