Pensare, la più semplice delle cose, la più naturale eppure quante volte ci abbandoniamo al fare. Talvolta siamo assorbiti così profondamente con la superficie, con le finestre del mondo che non ci accorgiamo di aver chiuso la parte migliore di noi. L’unico vestito che indossiamo, la pelle, ci dice di correre dietro il tempo e le persone mentre dentro di noi si arresta ogni luce di apertura. Progettiamo, nella dimensione che ci è più facile, avanzando, deviando, dimenticando. Il prima per noi diventa un passato da sfogliare, interpretare e il dopo, impertinente, risoluto, scivola via come un’acqua cieca. Così, senza volerlo o forse senza una valida ragione, ci poniamo all’esterno, agiamo sulla e nella circonferenza delle cose e degli affetti. Il centro vitale, la dimora dell’essere, crolla nell’evitabile abisso della distrazione, ecco allora che siamo sedotti dalle grandi imprese, dalle trionfali immagini del divenire mentre le piccole e fragili imperfezioni del capire si raccolgono nel silenzio più rumoroso. Sopraggiunge il muro, quello strato camuffato di ombre e cadute colmo di incertezze, di stranezze che fanno il loro salto nell’inganno arrugginito del vedere. Odori che non superano la barriera del linguaggio, curve franate in abili insuccessi mentre tegole di cuore sbattono ininterrottamente su fogli bianchi. Il vento si tuffa in azioni pericolose, senza panico o dubbi così reclusi dalle ossa e dai costumi sbagliati, ci inoltriamo nel buio e fumoso circolo del domandare. Dov’è l’anima? Dove si nasconde e perché lo fa? Soffocata in lente passaggiate, si dilegua come cenere mentre il sole sorge su terre oscure, in veloci avventure. Gelide tempeste si muovono nella casa del pensiero mentre il cielo indifeso attende il tenero abbraccio dell’uscire…dell’uscire.
Francesco Colia
Esce il pensiero e riprende respiro l’essere ogni volta rileggendoti :-))
Restare incastrato nella futilità per ripagare il senso di appartenenza a quell’insieme di sensazioni fugaci, a quel nucleo amorfo che per un attimo ti fa sentire parte di un universo che percepisci, ma non senti tuo e nel mentre vivi la costrizione inconsapevole di un’assurda appartenenza eppure tu nel tuo profondo essere piangi la propria inadeguatezza a ciò che ti circonda, che ti plasma la convinzione della tua incapacità di vivere avvolto nella propria anima.