Livia esce dal lavoro con quindici minuti di anticipo sul previsto senza dire il perché. In macchina mette il solito Vinicio Capossela. Guida con calma, aprendo completamente i finestrini dell’auto perché, ovviamente, l’aria condizionata si è rotta proprio ora che è estate. Controlla se ha la cartelletta verde sul sedile del passeggero. Bene, non l’ha dimenticata.
Paolo apre la custodia e mette il cd nel lettore dell’impianto Hi-Fi. Capossela mi è sempre stato sulle palle. Non riesco a capire come faccia Livia ad amarlo così tanto. Lei sicuramente avrà il volume al massimo in macchina mentre sta andando a fare quest’ultimo esame. Mi sono preso il pomeriggio di permesso ma non ha voluto che l’accompagnassi, non era il caso dice, perdere mezza giornata di lavoro. Volevo starle vicino come sempre, soprattutto ora che la vedo così in forma.
Sono quasi le quattro e l’appuntamento in Ospedale è per le cinque. Ferma al semaforo, i finestrini aperti senza l’effetto vento della velocità fanno solo entrare aria calda. Il tipo alla guida dell’auto accanto a lei gira un istante la testa, per darle un’occhiata di sfuggita. In quel periodo della sua vita Livia è un po’ troppo grassa. Ingrassare era una tragedia, fino a trent’anni. Tutti a dirle che non era importante, ma lei si ribellava a quell’affronto estetico, come se fosse più importante di quello biologico. Ora che i trenta sono passati, il peso è diventato un dettaglio trascurabile.
Paolo si siede sul dondolo in vimini, all’ombra sul balcone, una caraffa di acqua e menta colma fino all’orlo di cubetti di ghiaccio, preme il telecomando dello stereo. Con la musica inizia anche il movimento oscillatorio della sedia. Livia evita lo specchio ultimamente, dice che le medicine l’hanno fatta ingrassare. Non so. Io la trovo desiderabile con quel vestitino bianco così leggero. Speriamo torni alla svelta e su di morale così magari incrociamo le gambe stasera. Anche se da questa malattia non guarirà, i medici continuano a rassicurarci e incoraggiarci a vivere una vita normale.
I primi anni di matrimonio lei non si fidava di Paolo, del suo amore. Nei periodi in cui era più grassa poi, era certa che fingesse. Non può essere, pensava, che continui ad amarmi, che voglia ancora stare con me. Un ritardo di dieci minuti era perché un’altra lo aveva trattenuto. Paolo ha amato quella ragazzetta dalla prima volta. Non riusciva a starle lontano, nonostante lei facesse di tutto per essere sgarbata. Alla fine glielo aveva detto della malattia cronica che l’avrebbe perseguitata per il resto della vita. Cosa importava, gli piaceva troppo, l’amore avrebbe superato tutto, il desiderio di stare con lei era più forte di ogni ostacolo. La mano di Livia esita sulla maniglia della porta della sala di attesa: sa già quello che l’attende. I volti sconosciuti che si trova davanti hanno l’espressione di sempre: un sorriso strappato sulla bocca, i denti arenati sulla secca delle labbra, nella profondità degli occhi riflessa, come specchio, l’immagine della propria angoscia.
E a veder che crudel destino ora ne viene
ma che l’ombra ora ci prenda più mi addolora
Paolo pensa che Vinicio si sbaglia, o non è mai stato innamorato. Nascondendo il dolore dietro una maschera per non esserle di peso, perchè non si preoccupasse anche per lui, soprattutto nei lunghi periodi d’isolamento in ospedale, il suo cuore non ha mollato mai davanti a nessun ostacolo.
Ecco, pensa Livia, i momenti più difficili sono passati. Paolo è sempre meno angosciato. Paolo è ancora con lei. Non c’è stato modo di farlo desistere, e sì che le ha provate di tutte. Ad essere insofferente, insopportabile, cattiva. A mandarlo a quel paese. Lui si incazzava e contraccambiava, provava a trattarla male ma poi tornava sempre all’Ospedale, a casa, nel loro letto.
Ogni volta che Livia tornava a casa dall’Ospedale, non importa quanto debole fosse, facevano l’amore. Non appena rientrati in casa, qualunque ora fosse, riaffermavano così il loro diritto ad amarsi anche quando la paura blocca lo spirito.
Che farò lontan da te pena dell’anima
senza vederti, senza averti, né guardarti
Un amore impossibile? No, forse per te pianista mangiaparole. Le parole comunque le scegli giuste, la musica mi piace un po’ meno, ma forse devo ancora farci l’orecchio. All’inizio la tua musica era l’unico ostacolo tra me e Livia. Quando arrivavo in casa lei subito spegneva lo stereo, sapeva che mi davi i nervi. Ora, sta a vedere che comincio ad apprezzarti.
E’ l’ora della pennichella per Paolo, dondolìo e musica sono i preliminari per il sonno.
Vai vai tanto non è l’amore che va via
Vai vai l’amore resta sveglio anche se é tardi e piove ma vai tu vai rimangono candele e vino e lampi sulla strada del destino.
Paolo è decollato. Corse in ospedale, flebo, prelievi, attese, lacrime… e poi abbracci, baci, carezze, mani che scivolano sui corpi, sussurri, sospiri…e poi di nuovo stanze vuote, silenzi, eco di passi assenti nella casa, colazioni tristi, cene in piedi…e poi lenzuola pulite, profumo di fresco, tenerezze , orgasmi. Si sveglia in un lago di sudore, la musica sta finendo…
E’ arrivato il turno di Livia, il numero sul display è di un’unità più basso di quello che ha in mano. Quando arriva l’infermiera, distaccata e gentile lei le va incontro e quella le fa cenno di seguirla.
Ma non è l’amore che va via
il tempo sì ci ruba e poi asciuga il cuor.
Cosa? Il tempo rubato? Asciuga il cuor? No no, credo di non averla capita questa, ne parlerò con Livia. Tutto questo tempo di sofferenze, la pazienza necessaria al tempo dell’attesa e del non-ancora ha contribuito a farci conoscere l’entità del nostro amore e la possibilità di continuare a godercelo a piccoli morsi, piccoli passi nelle semplicità delle piccole cose che ogni giorno offre.
Nell’ambulatorio il medico non c’è ancora e l’infermiera le fa le domande di rito: età, peso, allergie particolari a farmaci. Lei è in età fertile, dice infine: se è incinta l’esame non si può fare, danneggerebbe il feto. Ed ecco perché quell’infermiera sconosciuta, distaccata e gentile ha avuto la notizia della sua gravidanza prima di Paolo, suo marito.
Fausto Marchetti & Melania Ceccarelli
Ricordare la sofferenza e parlarne è difficile. Quando la si racconta, il dolore ha il sopravvento e le parole e i toni sono come fratture insanabili. E’ toccante, invece, la dolcezza che prevale in ogni punto della tua narrazione. La malattia, la paura di non farcela, l’incertezza del futuro, la fatica di combattere, e poi… una nuova vita che nasce, l’ansia di vivere, la speranza. E poi chissà, altri momenti bui e poi di nuovo il sole, nuvole e ancora luce…ma su tutto parole lievi, tanta dolcezza.
Grazie Fausto.