
Disegno di Antoine de Saint-Exupéry – Il piccolo principe, cap. 13°
Solitamente siamo abituati a considerare l’avarizia come l’eccessivo attaccamento al denaro e a tutto ciò che di materiale si possiede. Proprio come Arpagone, il protagonista della famosa commedia di Molière, l’avaro è per lo più dedito all’attività di accumulare ricchezze, se è il caso facendo ricorso a qualsiasi tipo di attività, lecita o illecita, e trattenere tutto ciò che ha accumulato solo per sé, come se ciò potesse garantirgli una maggiore o migliore sopravvivenza.
Tuttavia, nonostante una tale descrizione dell’avaro sia piuttosto realistica, volgendo il nostro pensiero e la nostra riflessione un po’ più in là rispetto ai significati a cui siamo abituati, sorge spontanea la domanda se l’avarizia si limiti esclusivamente al denaro e ai beni materiali o se possa in qualche modo riguardare anche beni spirituali, o se meglio preferite, per chi è particolarmente “allergico” alla parola spirituale, immateriali.
In particolare, mi chiedo se l’avarizia possa riguardare anche il tempo, se avaro potrebbe anche dirsi colui che è avaro del proprio tempo. E allora vengono in mente quelle persone, conoscenti o a volte anche amici, che mal sopportano di essere disturbate senza essere avvertite con largo e gradito anticipo, perché ciò, ovvero l’imprevisto, frantuma tutti i loro “piani”, l’economia del loro tempo, il modo in cui si erano prefissati di “utilizzare” il loro tempo.
E allora, se l’avaro di denaro è colui che tende ad accumulare e trattenere tutto per sé, angosciato dalla paura di perdere tutto ciò che, a suo avviso, gli garantisce una degna sopravvivenza, non fosse altro per lo status sociale di uomo “ricco e benestante”, quali saranno i tratti salienti dell’avaro di tempo? L’avaro di tempo è colui che non riesce a donare il suo tempo, ovvero se stesso (perché cos’altro è il proprio tempo se non se stessi), all’altro, ad un altro uomo. Egli riesce a farlo solo trasformando questo “dono”, la cui essenza è la gratuità e la perdita, in scambio, ovvero solo se da questo tempo dedicato all’altro possa ricavarne un “utile”, una convenienza, un vantaggio. Egli non può donare parte del suo tempo in maniera gratuita perché ciò equivarrebbe a “sprecare” il proprio tempo, ma l’avaro è “per eccellenza” colui che non spreca bensì trattiene ed economizza, è colui che teme la “perdita”, la allontana con tutte le sue forze, in quanto la vive come una diminuzione e uno svilimento di sé.
Eppure l’Amore, la fonte primaria di cui ogni essere umano non può non nutrirsi, esige la “perdita”, lo “spreco” di parte del proprio tempo, di parte di se stessi. Ecco allora, che lo “spreco” assume una connotazione positiva, non come ciò che svilisce o impoverisce ma piuttosto come ciò che nutre e arricchisce. L’avaro, dunque, è anche colui che “per eccellenza” non ama, soffre di un’incapacità di amare, egli non si sa sprecare, non si sa perdere, perché ciò lo angoscia, egli non ha tempo per amare, non ha tempo per la tenerezza, non ha tempo per una carezza, non ha tempo per ascoltare un amico o la propria compagna/o, non ha tempo per un’inutile passeggiata in riva al mare, non ha tempo per intuire la tristezza di chi gli sta accanto, non ha tempo per prendersi cura di un figlio o della propria madre (vivrebbe ciò come una limitazione e una condanna), non ha tempo per l’Eros, perché quest’ultimo presuppone una relazione, una complicità, una comunicazione (dal latino communicare, cum+munus, mettere in comune, condividere un dono, il dono di sé), una perdita, un mettersi in gioco e un’apertura tale di cui l’avaro, per la sua tendenza a trattenere e trattenersi, non è capace, se non attuando, per l’ennesima volta, una trasformazione per ottenerne un tornaconto personale, da Eros a “sfogo sessuale”.
L’avaro , in ultima analisi, non ha tempo per donarsi ma solo ed esclusivamente per ricevere, e allora sarà disposto anche ad ascoltare le parole o le idee di qualcuno solo se intuisce di poterne fare “tesoro”, basti pensare a tutti coloro che rivolgono la loro attenzione solo alle “cosiddette” persone interessanti o intelligenti, sarà disposto ad avere accanto una compagna/o soprattutto per avere un supporto nei momenti di particolare solitudine o per ricevere tenerezza quando ne sente l’esigenza, ad avere un amico nei momenti di “tempo libero”. In tutto questo, anzi per tutto questo, a causa di tutto questo, al di là di ogni falsa apparenza, l’avaro, e forse potremmo dire soprattutto l’avaro di tempo, vive costantemente in un’estrema e distruttiva solitudine che, a dispetto di ogni sua convinzione, lo impoverisce, lo avvilisce, lo deprime, lo abbruttisce, lo fa implodere e lo ammala di una sorta di “bulimia spirituale” per la quale tutto ciò che ha per lungo tempo gelosamente trattenuto dentro di sé, e cioè se stesso, lo vomita inevitabilmente e inesorabilmente.
Ed ecco che dal non amare si passa al disgusto di sé, ed ecco che l’unica trasformazione che potrebbe salvarlo, è quella coraggiosa da uomo che si trattiene per paura di perdere qualcosa di sé a uomo che si dona e che in questo rischio del darsi sperimenta tutta la sua potenza, la sua abbondanza, la sua forza, la sua vocazione di essere umano.
Patrizia Ferraro
“l’avaro di tempo, vive costantemente in un’estrema e distruttiva solitudine che, a dispetto di ogni sua convinzione, lo impoverisce, lo avvilisce, lo deprime, lo abbruttisce, lo fa implodere e lo ammala di una sorta di “bulimia spirituale” per la quale tutto ciò che ha per lungo tempo gelosamente trattenuto dentro di sé, e cioè se stesso, lo vomita inevitabilmente e inesorabilmente.”
Molto ben articolato questo testo di cui condivido ogni considerazione.
Offrire la propria attenzione, l’ascolto disinteressato, significa rendere il tempo un bene comune, un reciproco dono.
cb