Ammetto che il genere e la copertina influenzano molto la mia scelta di acquisto quando si tratta di un autore totalmente (a me) sconosciuto. La casa editrice anche. Così ho deciso di dare una possibilità a Francesco Recami.
Questo è il primo libro dell’autore che leggo e non so assolutamente nulla di lui, sicuramente avrà scritto di meglio e di peggio. I killer non vanno in pensione è un’ottima scelta di titolo, incuriosisce immediatamente instradando il potenziale lettore sul genere del romanzo. Quello che non dice, e che si scoprirà leggendo, è che si tratta di una sorta di commedia in giallo, alla quale manca – ma del quale non si sente la mancanza – l’elemento che tiene il lettore con il fiato sospeso.
Il libro si fa leggere, non ho mai nemmeno per un momento pensato di non continuare. Mi ha strappato diversi sorrisi anche se penso che l’autore forse inconsapevolmente si diriga verso un pubblico prevalentemente maschile.
Il protagonista, il nostro killer professionista, è un uomo, come lo sono la maggior parte dei personaggi, fatta qualche rara eccezione. Il linguaggio è studiatamente calibrato per il pubblico maschile italiano, forse perchè nell’immaginario collettivo sono gli uomini che preferiscono leggere i gialli o forse più semplicemente perchè l’ambientazione della storia conduce l’autore a questa scelta.
I personaggi sono tutti caricature, nel senso che sono studiatamente eccessivamente stupidi, sia uomini che donne, qualcuno lo è solo per copertura, ovviamente. La storia si può definire una commedia degli equivoci in giallo, sapientemente orchestrata dall’ “elemento perturbatore” che confonde le indagini. Se non fosse per la volgarità forzata di alcune scene direi che è una lettura piacevole, intrattiene fino alla fine con qualche colpo di scena.
Brillanti i paralleli con il mondo animale e anche il reiterarsi vuoto e monotono delle prediche del curato.
Niente di ciò che descrive l’autore ha ovviamente nulla a che vedere con la realtà, “neanche il non detto o il sottinteso”. Una nota che Recami ha sentito l’urgenza di aggiungere, strappandomi anch’essa un sorriso, in chiusura.
Antonella Foderaro