
Credits: Marc-Olivier Jodoin su Unsplash
È una strano vascello quello che mi porta lontano dalla conoscenza. A cosa serve un timone se la mia rotta è una cascata di cemento? Piccoli passi nella nebbia, piena di rumori assordanti e vetrine opache. Vorrei tuffarmi in quei momenti persi nel buio del passato ma non si torna indietro, tutto è ordinato per il futuro. La verità è che il sintomo dell’estraneità mi assorbe, mi trascina voracemente in quella condizione di assoluto silenzio dell’anima. Infiniti incontri, facce che ti passano come un treno in corsa e lì a chiedersi cosa penseranno? Dov’è la mente quando fissa il punto di un pensiero? Io non so cosa sono, sicuramente un uomo ma non so cosa sono. Resto aperto come una foglia ma non tutto quello che cade sopra è sufficiente a capire cosa sono. Resto un’incognita, forse è questo il cammino che deve intraprendere un uomo, essere un viaggiatore senza capire perché lo fa. Tuttavia, ci sbracciamo con energia nel centro della vita, corriamo in direzione opposte, ci sentiamo estranei e le domande mi sorvolano come delle nuvole cariche di pioggia. C’è un luogo per deporre le armi della ricerca e fermarsi a prendere il tè del mio sentire? Spesso dobbiamo trovare un colpevole per sentirci sollevati e per veicolare verso di lui tutta la nostra impotenza. Ci sono eventi che vanno al di là delle nostre capacità e della nostra comprensione e non possiamo fare altro se non accettare con serenità l’inevitabile. Nulla è eterno nell’esistenza soggettiva ma tutto si ripete nel seme che spargiamo negli occhi di chi ci è accanto. Abbiamo il tempo di un battito d’ali e la speranza che questo basti a colmare la nostra solitudine e i nostri perché. Non c’è colpa nell’accadere nella misura in cui noi abbiamo messo in gioco la nostra anima, il nostro cuore. Vorrei strappare ogni dolore alle persone, restituire sempre un sorriso e aprire un ombrello che illumini a giorno ogni triste pensiero ma io sono un’indefinibile creatura che sgattaiola nella sua mortale condizione. Qual è il prezzo da pagare alla comparsata? Menti giovani agitano vecchi ricordi e un mucchio di parole sono in cantiere; è il tempo dei palazzi virtuali, soffitte abbandonate alla polvere, giocattoli chiusi in scatoloni. È facile cadere quando non è più uno stimolo per rialzarsi ma un’inevitabile rottura dell’esistere. Ci si veste con semplicità, camminiamo come fosse una cosa naturale, ma cosa dobbiamo nascondere? Dopo tutto c’è il cielo azzurro sopra la nostra testa e una luna che strizza l’occhio alla nostra piccola presenza.
Francesco Colia