L’arte come espressione culturale di pensieri collettivi è sempre stata oggetto di cassazioni e divieti, di censure e selettive esclusioni dal circuito espositivo riconosciuto, ed è facile intuirne anche il motivo: ciò che si prende la libertà di trasmettere e palesare pensieri non ufficiali, specialmente quando riguardano un malcontento comune e profondo, è da considerarsi pericoloso e non soltanto perché dà voce ai sentimenti di insoddisfazione generale ma anche e soprattutto perché l’arte, con il solo suggerire, è capace di far emergere problematiche che ancora consciamente non si sono neppure elaborate, ispirando e accogliendo allo stesso tempo i sentimenti di un epoca.
Al tempo del quadro di Carrà, la cultura ufficiale era il fascismo: un governo totalitario che aveva assunto quale simbolo della propria solidità presunta, la compostezza formale ed equilibrata della classicità greca dalle forme geometriche facilmente riconoscibili e armoniche e che doveva servire a dare un senso di sicurezza e rigore familiare, nonostante le forme indurite che il regime lasciava travisare quale emblema della fermezza di polso della dittatura. Armonia quindi, ma controllata e incassata in forme solide e rigide, immobili e chiuse come l’autarchia alla quale si inneggiava, o le idee di guerra quale mezzo per una “pulizia” etnica.
In questa cornice la controtendenza non poteva che essere esplosiva, volta totalmente al movimento lanciato a velocità folle, senza controllo, tesa a liberarsi di ogni accademismo stilistico per quanto rassicurante potesse essere, protesa verso il futuro, incerto e traballante ma ricco di promesse, degli anni della guerra.
Il futurismo fu una corrente urlata, figlia del bisogno di innovazione e di irriverenza, insofferente alle tradizioni, nata per scardinare un sistema sociale più che artistico, voce di una società che male si adattava alla rigidità della reggenza.
Nonostante questi presupposti, il rapporto con il regime è da considerarsi ambiguo; la bramosia guerrafondaia che animava i maggiori esponenti della corrente (Marinetti, come Boccioni, morì sul fronte) fu sfruttata dall’autorità a scopo propagandistico, essendo questa una delle teorie più accattivanti dell’epoca per l’inneggiare alle macchine, al progresso, al dinamismo e a principi molto forti che presto facevano presa sull’emisfero culturale della scena italiana.
La stessa fine fecero, come ricordiamo, le teorie nietzschiane, travisate a vantaggio di una idea di superiorità razziale di servizio, quando veniva invece esposta una teoria di sviluppo di uomo in quanto umanità, ben al di là della mera provenienza geografica.
Quello che di più aberrante fece il fascismo alla cultura, fu proprio rivoltare le idee dei liberi pensatori, ingabbiandole nelle trame di scopi politici e assolutamente oligarchici.
Fortunatamente l’arte ed il pensiero in generale non sono facilmente annientabili.
Il quadro di Carrà I funerali dell’anarchico Galli, può essere da noi considerato un emblema della lotta del libero pensiero, che qui si sposa con le lotte sociali e per i diritti primi degli individui, combattute nell’arco del novecento, nonostante il regime fascista.
Il quadro fu ispirato da Carrà com’è noto, dall’uccisione dell’operaio Angelo Galli ucciso nel 1904 durante uno sciopero generale, a causa della appartenenza ai gruppi socialisti che si schierarono contro coloro (i crumiri) che non scioperarono per i diritti durante le sommosse dei primi anni del secolo.
Fu molto impressionante per l’artista vedere le enormi bandiere nere e rosse sfilare nel corteo, pieno di gente, di rumore, di rosso, per la morte del compagno. Un uomo che come altri, pagò la nostra attuale libertà.
Il marasma della gente è rappresentato dall’autore nel turbinio dei colori e delle forme che si compenetrano nell’accelerazione della scena, del tempo e dello spazio. Il movimento forsennato e violento della folla fonde le forme e intreccia i colori che si tingono qui principalmente di rosso, che sgorga dalle bandiere, dal sangue versato e dalla folla inferocita.
Non è solo la velocità della scena in questo quadro che viene rappresentata, una spinta ben più profonda della concitazione generale si avverte, come un moto profondo dell’anima che travolge ogni cosa nel disprezzo più totale per l’accaduto.
Questi moti dell’anima che Carrà coglie in mezzo alla folla, sono gli stessi che portarono di lì a poco alle lotte per la costituzione dei sindacati e di tutte quelle forme di diritti a noi oggi familiari, ma che all’epoca apparivano solo un miraggio nel profondo dell’anima.
La morte dell’anarchico Galli rappresenta per noi un monito,in cui rivedere i sacrifici fatti per lo sviluppo della società democratica in cui dovremmo viver ma che, oggi si sta disperdendo nei lavori a progetto e nelle campagne elettorali mediatiche pilotate.
Dovrebbe ricordarci come sia effettivamente possibile che le idee cambino il mondo e che siano le folle la vera forza motrice della società e non i singoli.
Il quadro di Carrà vede la luce in un periodo di odiose violenze che scaturiscono da dittature incombenti, da situazioni economiche che se pur fiorenti, portarono dei cambiamenti tanto profondi nella società civile, che si rese necessario per la comunità reinventare una legislature che garantisse i diritti ed i doveri di tutti, ovviamente all’interno dello scontro tra classi e stato e spesso sfociando in episodi ben più violenti dell’uccisione di un unico uomo, assunto qui a simbolo della condizione di un secolo.
Ad oggi la situazione politica e sociale sembra iniziare a somigliare preoccupantemente a quella del secolo scorso, e nonostante si dica spesso che la nostra sia ormai l’Italietta per gente che non sa lottare, la testimonianza di Carrà smentisce questa convinzione, anche se l’istantanea risale ancora a tempi ormai lontani. Viene da pensare che forse, semplicemente non si lotta se non si hanno dei motivi reali per farlo ma ciò non significa che, considerato il cambiamento che stiamo vivendo a partire dall’introduzione della moneta unica, con i conseguenti stati di crisi che affrontiamo e che hanno portato oggi, ad un passo indietro nella conquista di quei diritti civili e sociali tanto voluti in passato, non saremmo nuovamente pronti a lottare per ciò che è e dovrebbe sempre essere, uno stato libero e democratico, fondato sul lavoro.
Se l’arte e la storia insegnano qualcosa è di mantenere intatta la nostra libertà di pensiero, nonostante le pressioni che lo stato di bisogno impongono sugli individui, perchè sarà quando questa pressione sarà troppo forte che l’Anarchico Galli tornerà a morire; benchè i capolavori dell’arte raccontino avvenimenti passati, spesso per loro stessa natura sono madri dei sentimenti futuri.
Elena Sudano