
Scatto di Antonella Foderaro
Aveva dormito malissimo, per il caldo, si disse, e si stiracchiò sbadigliando, cercando di dimenticare quel formicolio allo stomaco che non gli dava tregua neppure durante il sonno. Aveva sognato lei anche questa volta, come sempre quando socchiudeva gli occhi. Con il passare dei giorni non sapeva più distinguere i suoi occhi grigio verdi da quella sensazione di rassicurante benessere che anche solo immaginarla gli procurava. Erano poi davvero grigio verdi o ambra? Non riusciva più a ricordare ed era sfinito, sfinito dal caldo, dalla sete, dalla fame, dalla tristezza. Cominciò a singhiozzare sempre più forte, spingendosi allo scoperto, disperato.
Passammo l’estate su una spiaggia solitaria
E ci arrivava l’eco di un cinema all’aperto
E sulla sabbia un caldo tropicale dal mare
Questa era la canzone preferita di Ferdinando, così appena cominciavano le prime note, aumentava il volume, impercettibilmente a suo dire, ma non per la Signorina Fleres, che amava tenere il balcone aperto anche quando batteva il sole e la temperatura della ringhiera superava quella della piastra elettrica.
“L’eco arriva fin qui” strillò, senza mettere piede sul balcone per evitare di cuocersi le piante dei piedi, sebbene callosi a sufficienza per superare indenne anche la prova dei carboni ardenti. “Vecchia prugna” borbottò Ferdinando, aumentando dispettosamente il volume della radio del bar.
Era il 15 agosto ed il marciapiede del Bar Primavera era una fornace, quattro sedie erano state sapientemente disposte per invitare i clienti a sedersi, consumando bibite mentre si sventolavano con una sgualcita Gazzetta. Ma non ora, “cu friscu”, pensò soddisfatto Ferdinando sbirciando la strada attraverso la tenda antimosche a perline verdi. Quando l’ombra avrebbe reso possibile sedersi senza sciogliersi le chiappe, la processione avrebbe attirato un sacco di clienti assetati, ed il Bar Primavera sarebbe stato, come sempre, pronto a servirli.
E nel pomeriggio quando il sole ci nutriva
Di tanto in tanto un grido copriva le distanze
E l’aria delle cose diventava irreale
Nessuno lo aveva sentito piangere, si disse. Nessuno. Ecco perchè tremando si spinse ancora più allo scoperto avvicinandosi a quelle perline luccicanti, come gli occhi di lei, lei la cui mancanza gli divorava lo stomaco. Ed in quel preciso istante qualcosa lo afferrò sollevandolo da terra.
“Non aver paura, ci penso io a te”.
Era una mano “la cosa” che lo immobilizzava ad un metro da terra, una mano. La stessa che lo aveva portato via da lei, no, non proprio quella, l’odore era diverso, però simile. Così raccogliendo le ultime forze, si contorse e la morse. Non se ne dispiacque nemmeno un pochino, era tutta colpa di una mano se lei non c’era più, se adesso era solo, sudicio e affamato su quel marciapiede dissestato. Ma quella mano ferita non mollò la presa di un punto, anzi, la sentì sussurrare ”Non aver paura!” e poi strillare: “Hai per caso una scatola? Non posso portarlo in giro tenendolo così”.
E dal bar: “Ciao bella, ho questo cartone della birra, può andare bene?” Ferdinando aveva fatto capolino, spostando con le lunghe dita la tendina. Un sorrisò gli addolcì lo sguardo quando li vide.
Fu così che la mia vita cambiò di nuovo e questa che vi racconto è la mia storia, anzi la nostra, perchè qualcosa di incredibilmente potente accadde tra noi dopo quel morso, che ci cucì l’uno all’altra, come l’anima al corpo.

Scatto di Antonella Foderaro
Dopo aver lasciato il micio inscatolato a casa, Ester si avviò per procurare alcuni beni di prima necessità.
“Salve, potrebbe suggerirmi una sabbia economica, adatta per gatti piccoli?”
“Guardi nello scaffale di mezzo, sono tutte lì”. L’impiegata sembrava stenografasse la conversazione, ma invece no, era concentrata sulla tastiera del telefonino e concesse non più di una mossa impercettibile del mento nella direzione dello scaffale. Sebbene l’aria condizionata rendesse piacevole la permanenza più del servizio, Ester prese tutto ciò di cui aveva bisogno, affrettandosi ad uscire.
Che strana sensazione rientrare a casa e sapere che c`è qualcuno presente. Ma dove si era nascosta quella peste puzzolente? Inutile cercarlo, era sgattaiolato dalla scatola semichiusa e piccolo com’era poteva essersi infilato ovunque. Non sapeva perchè si era convinta che fosse maschio, e decise di chiamarlo Morso ispirata dal dolore alla mano. Dopo aver sistemato acqua, cibo umido e lettiera in un angolino della mansarda, si accucciò sul pavimento dal lato opposto, in attesa.
Bella figliola ca ti chiami Rosa chi bellu nomu mammate t’ha misu t’ha misu u nomu bellu di li rosi lu megghiu ciuri di lu paradisu bella figliola ca ti chiami Rosa bella figliola ca ti chiami Rosa …
Ester aveva aperto la finestra, e con l’aria anche la musica era entrata, come spesso accade in estate, in Sicilia. Alla gente in estate piace sognare e forse per questo ha bisogno di più della musica. Ai siciliani piace sognare a voce alta, evidentemente. E quindi si capiscono i sogni che fanno dalla musica che ascoltano.
Ferdinando, il proprietario del Bar Primavera, per esempio, lo conosceva da quando era piccola e papà la portava per la granita. In estate, Ferdinando sognava sempre le vacanze su una spiaggia solitaria, stanco com’era del chiacchierio dei clienti. Era giovane Ferdinando ed aveva cominciato a lavorare al bar da ragazzo come garzone, consegnando caffè ai negozi vicini. A poco a poco si era fatto ben volere da tutti i clienti e pure dal proprietario del locale, che adesso trattava come se fosse suo. Lo era davvero? Ester non aveva mai chiesto, ma lei preferiva Ferdinando, che un sorriso ogni tanto lo faceva.
E poi c`è chi ascolta canzoni sognando di essere ricambiato, sono in tanti a farlo, infatti è difficile. Ma non tutti ascoltano i Kunsertu. Solo chi ha il ribollio dentro lo fa, o la rabbia dell’isola come la chiamava lei, quando correnti diverse si incontrano e increspano appena la superficie del mare, ma dentro e sotto, è tutto un fermentare.
e nesci Rosa t’ha diri ‘na cosa’ na cosa e nesci nesci Rosa
Si vedono dei baffetti sbucare dalla porta del bagno, eccolo avanzare guardingo ed elegante come un giaguaro, anche se ha la testa più grande del corpo. È buffo e le ruba un sorriso. Non l’ha vista, o fa finta. Annusa il cibo, ma ha qualcosa di più urgente della fame. Ester si chiede come faccia a sapere, così piccolo, che quello è il posto giusto per liberarsi. Qualcosa cambia nel suo atteggiamento dopo, si avverte come un calo di tensione. Sarà che si è alleggerito, sarà che ha capito di essere a casa.

Scatto di Antonella Foderaro
Ester era sveglia da tempo dopo una notte quasi insonne. Sul letto, con quel caldo, non si poteva dormire e invece sul pavimento si riusciva a stare freschi, almeno fino a quando Morso non l’aveva raggiunta. Lei era rimasta con gli occhi socchiusi, immobile a contemplare il miracolo della fiducia, dell’abbandono di ogni riserva da parte di quell’esserino caparbio, puzzolente e pulcioso, perchè si, a puzzare puzzava eccome e pure le pulci gliele aveva viste muoversi rapide sull’addome quando lo aveva acchiappato. Non si era lasciato avvicinare fino a quel momento e non aveva potuto neppure lavarlo. Ed ora eccolo lì, a dimostrarle silenziosamente che aveva fatto la sua scelta, dopo la necessaria perlustrazione del territorio e l’annusamento minuzioso di ogni estremità sporgente del suo corpo sdraiato per terra.
Si stiracchiò sbadigliando, poi si acciambellò facendo una paio di giri su se stesso sistemandosi come un guanto nell’incavo tra il collo e la spalla. “Che bello quando dorme” – pensò – “finalmente sta ferma”.
Improvvisamente Morso le sembrò un nome inadeguato. Passò velocemente in rassegna tutti i suoi nomi preferiti pensando a come quella piccola creatura le avesse conquistato il cuore in un attimo. Poi le venne in mente una conversazione di filosofia avuta una settimana prima con il suo amico di penna Sid. “Fedro” era il nome perfetto per lui e se Platone, autore dell’omonimo libro, si fosse rivoltato nella tomba ogni volta che lei chiamava il gatto, lo avrebbe fatto sicuramente con maggiore condiscendenza di quanta ne provasse ogni volta che citazioni “platoniche” comparivano in dissertazioni e orazioni di illustri tuttologi.
Aveva fatto bene Socrate a non lasciare nulla di scritto, pensò lei allungando la mano per dare una carezzina a Fedro che stava facendo le fusa. Quantomeno nessuno avrebbe potuto ricamare acrobazie sopra le sue opere, nessuno eccetto Platone ovviamente che sembrava aver vissuto la sua intera vita trascrivendone ogni parola. Che fatica immane, poveraccio.
E con questi pensieri un po’ assurdi in testa, Ester finalmente si addormentò.

Scatto di Antonella Foderaro
A tanta gente capita di trovare un gatto per strada, o altro, e di portarselo a casa.
È vero. Si trovano tante cose per strada. Anche animali bisognosi, ma i più sventurati sono quelli abbandonati, strappati alle loro mamme troppo piccoli, condannati a una morte crudele, da esseri umani come noi, o quasi come noi, che si credono i soli ad avere diritto alla vita e ad una famiglia.
Alcuni si giustificano dicendo che sono animali malati o deboli e comunque morirebbero, altri con il fatto che non hanno le possibilità economiche per prendersene cura, altri danno la colpa ad un’allergia, ad un trasloco, ad un padrone di casa intollerante, alle malattie di cui sarebbero portatori. Insomma i motivi del disamore sono sempre tanti, lo sappiamo tutti bene.
Questa storia racconta di un rapporto sbilanciato. Lei lo “rapisce” e gli offre amore e protezione. Lui ci pensa, perlustra, annusa, accetta. La scelta di lui è senza ripensamenti. La scelta di lei, invece, lo sarà. La vita non è mai come la immaginiamo e quella di Ester la condurrà sempre più lontana dal luogo di quel primo incontro. Spesso dovrà fare i conti con le conseguenze di quello slancio avuto di fronte al Bar Primavera, rinunciando a cose che vorrebbe o potrebbe fare se solo lui non ci fosse, se fosse passata dritto, ignorandolo. Ma ogni volta le tornano in mente le parole di Ferdinando, gettate come dadi, quando lei gli aveva mostrato i segni lasciati dai dentini di Fedro: “Eh la fortuna va presa a morsi”.
E non so ancora oggi se sono stata io la sua fortuna o lui la mia, forse siamo l’ uno la fortuna dell’altro, ma una cosa so di certo, Ferdinando aveva capito tutto lavorando in quel bar.
Platone sarebbe stato molto orgoglioso di Fedro, pensò sollevando il trasportino con una mano e la valigia con l’altra, vestita di tutto punto pronta a prendere a morsi la sua fortuna. Fedro e le sue esemplari lezioni di filosofia, di retorica muta, ma estremamente persuasiva e maestro d’arte, sì, dell’arte di amare senza ripensamenti.
Tanti sono i motivi per il disamore, si disse guadandolo agitarsi come una tarantola nel trasportino, ma l’amore non cerca motivi, l’amore è il motivo.
Antonella Foderaro
Le strofe della canzone ”Summer on a solitary beach” di Franco Battiato e della canzone “Mokarta” dei Kunsertu appartengono agli autori che le hanno composte ed a quanti ne detengono i diritti. Se qualcuno si sentisse in qualche modo danneggiato dall’inserimento delle strofe nel racconto, contatti la redazione e verranno rimosse. Ricordiamo che Filosofi per caso è un blog senza alcun fine di lucro.