Che differenza pensate vi sia fra coloro che nella caverna di Platone contemplano le ombre e le immagini delle varie cose, senza desideri, paghi della propria condizione, e il sapiente che, uscito dalla caverna, vede le cose vere? Se il Micillo di Luciano avesse potuto continuare a sognare in eterno il suo sogno di ricchezza, che motivo avrebbe avuto di desiderare un’altra felicità? La condizione dei folli, perciò, non differisce in nulla da quella dei savi, o, meglio, se in qualcosa differisce, è preferibile. Innanzitutto perché la loro felicità costa ben poco: solo un piccolo inganno di sé.
Elogio della follia, Erasmo da Rotterdam
Questi interrogativi si poneva Erasmo agli inizi del ’500 nell’Elogio della follia (in latino: Moriae encomium), un’opera a carattere satirico dedicata all’amico Tommaso Moro, con il cui cognome il titolo in latino volutamente gioca.
Il pubblico al quale Erasmo intenzionalmente si rivolge, quella che noi oggi chiameremmo audience, è composto dalla cerchia dei suoi amici. L’opera tuttavia riscuoterà un immediato successo, tanto da andare in stampa, ristampa, essere tradotta prima in francese e tedesco fino ad arrivare a noi, oggi, sorprendentemente attuale.
Considerando il pubblico dotto al quale era destinata, non sorprenda al lettore moderno la difficoltà nel cogliere i riferimenti filosofici, letterari e teologici. Essendo come tutte le opere, frutto del suo tempo, anche eventuali riferimenti satirici a personaggi o eventi contemporanei allo scrittore, potrebbero passare totalmente inosservati.
Se questo non impedisce la lettura del testo, lo rende tuttavia meno godibile, in quanto il linguaggio erudito costringerà, se si è interessati a comprenderlo fino in fondo, a fare qualche ricerca in più per coglierne tutte le sfumature.
Tuttavia è estremamente chiaro che si tratti di satira e che attraverso l’elogio della follia si voglia mettere a nudo quanto l’essere umano si renda ridicolo vantandosi.
In alcune parti il testo risulta estremamente autocritico, perchè non dimentichiamo che Erasmo è ben consapevole di essere parte dei più folli tra i folli in quanto oltre ad appartenere al genere umano soggetto alla follia come tutti gli altri, ha l’aggravante di essere teologo, filosofo, letterato e monaco.
Se Erasmo fosse stato una donna, la satira sarebbe stata a mio parere perfetta. Infatti oltre a dedicare alle donne una sezione in cui esprime inequivocabilmente la misoginia tipica del ’500, ma per nulla estranea ai nostri tempi, conclude l’Elogio della follia con le seguenti parole:
Dimentica di me stessa, ho passato da un pezzo i limiti. Tuttavia, se vi pare che il discorso abbia peccato di petulanza e prolissità, pensate che chi parla è la Follia, e che è donna. Ricordate però il detto greco: “spesso anche un pazzo parla a proposito”; a meno che non riteniate che il proverbio non possa estendersi alle donne.
La Follia viene da Erasmo descritta come l’ingrediente senza il quale “nessuna società, nessun legame potrebbe durare felicemente”. L’essere umano tende ad ingannare se stesso in cambio di un pizzico di felicità, senza la quale tuttavia, se ci riflettiamo, nessuna opera umana, nobile o ignobile, sarebbe possibile.
Senza la follia non si genererebbero figli, nè si contrarrebbe matrimonio. Non si farebbero guerre, ma neppure si scriverebbero leggi e libri. Senza la follia non ci sarebbero i cristiani autentici che tutto abbandonano per seguire Gesù, ma neppure quella “razza straordinariamente boriosa e irritabile” dei teologi.
Insomma, in questo scritto satirico che ha reso Erasmo così famoso tanto da arrivare ai giorni nostri, la follia “che è donna” è elogiata in quanto causa di ogni felicità reale o immaginaria. Essa si burla inesorabilmente degli stessi studiosi, filosofi, scrittori e monaci che ispira (tra i quali Erasmo), dei principi, dei cardinali, dei vescovi, della chiesa cattolica corrotta, dei potenti e in generale di tutti quei miserabili che, oggi come allora, si vantano di esserle superiori accusandola delle propie debolezze, ingannando se stessi per un pizzico di felicità.
Antonella Foderaro