Avere un’idea, ma non essere in grado di esprimerla e comunicarla con successo, cioè di motivarla, svilupparla e farle avere risonanza, è un po’ come svegliarsi al mattino con la sensazione di aver fatto un bel sogno, senza però riuscire a ricordare altro.
La sensazione ci suggerisce qualcosa, ma la mancanza di dati ci rende impossibile un approfondimento, un’analisi e quindi se proviamo ad esprimerci, non abbiamo gli strumenti per elaborare e rendere chiaro ciò che sentiamo.
Esprimere un’idea comporta uno sforzo spesso superiore al raggiungimento dell’idea stessa. Infatti le idee sono molto raramente originali bensì frutto di un’intuizione basata sul ragionare ed elaborare idee e conclusioni di altri.
Il tempo che dedichiamo alla nostra idea, alla sua espressione, è il tempo dedicato alla ricerca, durante la quale analizziamo, verifichiamo e confrontiamo per infine trarre delle conclusioni attendibili. Comunicare non è soltanto il momento finale in cui condividiamo con gli altri l’idea, ma è un processo che matura con il maturare dell’idea stessa.
Un’idea che si ferma alla sensazione – per rimanere nella similitudine del sogno – è un’idea che non sopravviverà all’argomentazione la quale nasce nel momento in cui un’affermazione viene ritenuta non autentica o discutibile in quanto o basata su premesse non valide/insufficienti, o non basata su fatti/evidenze, o ancora basata su conclusioni non supportate da un ragionamento rigoroso. Per usare sempre la stessa similutidine: è il sogno di cui si ricorda la sensazione, ma non il contenuto.
Facilmente si cade nell’illusione che comunicare sia semplicemente dire o scrivere ciò che si pensa, ma questa convinzione, seppure legittima, vacilla nel momento in cui ciò che pensiamo incontra ciò che altri pensano. E poichè comunicare rivela il desiderio di essere ascoltati, compresi e possibilmente creduti in ciò che si dice, allora non basta semplicemente dire/scrivere ciò che pensiamo, ma farlo in modo che chi è in atteggiamento di ascolto, capisca, possa verificare e infine, se lo ritiene valido, credere.
Comunicare non è mai un processo a senso unico, coinvolge sia chi parla/scrive sia chi ascolta/legge. Se chi esprime l’idea fa la sua parte con dedizione, serietà e passione, ma chi riceve il messaggio è superficiale, distratto o semplicemente di cattivo umore, la comunicazione fallisce per quella persona, ma ciò che conta è che non fallisce per ogni persona.
Smettere di comunicare – avendo in mente cosa comporta farlo con serietà – perchè si ritiene sterile lo sforzo visti i risultati a volte fallimentari, è lasciare spazio, per rimanere ancora nella stessa similitudine, a sensazioni, a sogni privi di contenuto, destinati a dissolversi al risveglio.
Antonella Foderaro