Milleottocentoedintorni
‘A casa du mari ha tanti proprietari e nessuno inquilino.
Se vi alloggia qualcuno, sporadicamente, è solo nella stagione estiva.
Ma la sua storia è lunghissima e appartiene ad una vicenda ottocentesca parallela a quella di questo Paese nella sua forma unitaria, e come questo costruita con pietre e fango, semplicemente appoggiate sulla sabbia, di fronte al mare. Per questo motivo può permettersi tanta solitudine
In varie fasi, per poter accogliere tante famiglie, ne è stata aumentata la cubatura e così resa sempre meno elegante di quanto già fosse; rabberciata alla meno peggio, come si poteva e si faceva allora, con sacrifici durissimi tra guerre e miseria.
Nessuno l’ha mai valorizzata, né prima né poi, e mai definitivamente completata.
Manca sempre qualcosa per renderla piacevole….
Il suo destino è tutto lì, nella necessità di viverci. Ora non più.
E’ vecchia ora, ecco cos’è, non è antica.
Hai voglia a ripristinare la facciata; le crepe dei muri si riaprono e danno l’effetto del gretto e delle rughe che nessuno riesce più a togliere, ma di queste sembra andar va fiera se resiste ancora, lei, custode del tempo. Attraverso quei muri puoi avvertire le voci di chi ci è stato, chi ha costruito, chi ha amato, se mai ha avuto il tempo ed è riuscito ad amare. Echi lontani… o forse sono solo le voci dei passanti, amplificate dalle sue stanze soprattutto nelle notti d’estate? O i misteri dello scirocco…
Locanda ottocentesca, un tempo si diceva che abbia ospitato anti-borbonici e garibaldini; ma anche questa forse è una leggenda locale e di testimoni non ve n’è più, naturalmente.
Ho ereditato malvolentieri quei muri e quelle voci insieme alle attese che hanno segnato la storia dei tanti inquilini.
Lunghe, a volte infinite.
‘Ntoni, il più antico tra tutti quelli narrati nelle storie dei miei, ha vissuto lì solo l’ultima parte della sua lunga vita: aveva vissuto gran parte dell’Ottocento fino agli anni trenta ma un debito da scontare per un errore di gioventù l’aveva lasciato lontano da quella casa per lungo tempo. Quando è tornato, qualcuno l’aveva aspettato, di nascosto. Silenziosamente l’ha fatto anche lui.
Altri si sono invece imbarcati verso mari lontani, altre terre, lasciando ad altri il compito di custodirla, ma poi sono tornati da “graduati” a dar luce a quella parte di mare .
E intanto la casa si modificava, assumendo altre forme e altre stanze costruite per altre vite da aggiungere lì, senza pace né rassegnazione.
Non v’era pace soprattutto per chi non gradiva la tessera per poter lavorare.
E così lo zio più anziano salutò l’Istituto di Credito che dirigeva in città, per stabilirsi anche lui nella casa del mare; quando fu riammesso al lavoro, a fine ventennio, era prossimo a ben altro congedo.
Eppure in quegli anni ‘a casa du mari la immagino ancora più viva, diventata alloggio per antifascisti, lei così simile ad un confine “naturale”, tra lo scirocco e il maestrale e la salsedine che l’avvolge, lontana da tutto, lotte ed intrighi politici compresi.
E così qualche “indesiderato” veramente arrivò da lontano (Pavese era a pochi chilometri da quei luoghi a quei tempi).
Uno su tutti era nei racconti di chi c’era: un vecchio professore schivo e gentile, incapace di adattarsi a quelle terre aride bruciate dal sole, con la famiglia lontana, piemontese anche lui probabilmente. Solo il mare, giù a pochi passi, gli restituiva qualcosa che somigliava alla pace e lì andava con la sedia per rimanerci seduto sul bagnasciuga per ore, fermo a guardare lontano. L’orizzonte forse, o semplicemente a ragionare. Giornate intere fino al rientro, la sera. L’hanno trovato così l’ultima mattina, presto, sulla spiaggia, sembrava contento.
I bombardamenti hanno risparmiato tanti posti e anche ‘a casa du mari.
La fuga, e poi l’armistizio con gli sfollati che rientravano e da questo scenario si ripartiva, come sempre, magari trasferendosi altrove o sposandosi a uomini di posti lontani.
Nuovi inquilini per altre partenze e poi ancora via.
Tanti treni sono passati negli anni successivi, di fronte ‘a casa du mari.
Molti dalle vetture salutavano felici affacciati ai finestrini, altri invece guardavano verso il mare di fronte, forse in cerca di quel punto lontano che aveva inseguito il vecchio professore, in fondo alla tristezza e alla speranza.
Chissà dove andavano ma sembravano tutti più felici di ora.
Dicembreduemilaundici
Ne passano sempre meno ora di treni davanti ‘a casa du mari e tutto avviene nell’indifferenza di chi parte e di chi resta.
Nessuno che restituisce un saluto. Solo io, oggi, resto affacciato.
Ma questa è un’altra storia che non appartiene alla vecchia casa, oppure rientra perfettamente nel ciclo vitale che ‘a casa du mari già conosce, storie di modernità e fallimenti, dove tutto ciò che è stato sembra voler finire insieme a quelle distanze, quelle voci e quelle attese. Per ricominciare.
Sento allora che il mestiere di vivere è stato per lei rimanere in piedi, che è dura battaglia, vizio assurdo e coraggio. Lo stesso che hanno avuto questi muri appoggiati da un’eternità sulla sabbia ma che non hanno risparmiato stanze, come fossero braccia, per accogliere ancora.
Chiudo gas ed acqua. La luce no. Solo il portone.
Scendo le scale quasi in punta di piedi e sono fuori.
La serata è bellissima e, stranamente, silenziosa.
Passa l’ultima littorina locale piena di extracomunitari.
Qualcuno guarda su, tra le finestre e i balconi. Per un attimo sente di essere a casa.
Rolando Iaria
Rita Iaria
Racconto della memoria ma anche del presente, nocciolo di futuro romanzo.
Pensaci.Ci sono già tutti gli elementi che aspettano solo di essere sviluppati.
Buon lavoro!!!!!!!!!!
La mamma sarebbe felicissima!
Rita Iaria
Molto bella è la metafora della casa costruita sulla sabbia, senza fondamenta,che ha comunque resistito al tempo
Sembra aver condiviso la sorte errante dei suoi stessi inquilini .
Da qui nasce l’ invito ad approfondire in un romanzo la storia già narrata in modo avvincente e commuovente nel racconto.
Net23
Un bellissimo racconto, sembra proprio di vederla e di essere lì con lei mentre il tempo passa e lei tiene duro!
Oscar Damiano Tarantella
Suggestiva commistione di tempo e spazio, come l’effetto del vento su una pietra la modella, questo racconto sembra essere la sintesi di un processo vitale che porta dunque con se nascita esperienza e morte e da quest’ultima ne trae forza, come le piante germogliano nuovamente, sempre più forti nelle generazioni future. E’ molto forte l’idea di questo “luogo” nel suo passato, lo si riesce a visualizzare nonostante non sia narrata nessuna sua caratteristica estetica (e forse è proprio questo che nelle nostre menti fa si che un sito diventi un “luogo”) ed è a mio parere ancora più forte la sua nuova concezione di “non luogo”, ma di sito, davanti (dentro, sopra e sotto) al quale scorre il presente in attesa di veder ri-sbocciare il germe di una nuova società che forse ha più bisogno di questo “fermo” e antico calore, piuttosto che della frenetica rincorsa di un punto di fuga (desiderio) che si trova nell’infinito.
Coda di Lupo
“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il Colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio”
‘a casa du mari – come Macondo – dispersa in un posto imprecisato tra l’azzuro del cielo e il blu del mare, accoglie attorno a sè i sapori e i colori delle vite che la circondano.
Ignara delle stagioni non conosce ancora la primavera e già le si affaccia innanzi l’inverno.
Attende il vento, sarà forse scirocco, a riportarle la vita.
rolando
Circa un mese fa ho ricevuto una telefonata dalla vicina e “custode” di quel “non luogo” con la richiesta esplicita, a me inzialmente incomprensibile, di volere lasciare balconi e finestre aperte nellle belle giornate anche durante il periodo di mia assenza con l’impegno da parte sua di accudire, spalancare e poi chiudere tutto, pur di non vedere sempre chiuse e buie le stanze che si affacciano al mare della vecchia casa, che “tanto gli si chiudeva il cuore fino alla tristezza”.
Se era una esigenza personale beh l’ho fatta mia accettando immediatamente.
Da qui tutto il resto frutto di ricordi e pensieri che Oscar D.T. ha spiegato lucidamente. La possibilità poi, che un sito come quello, per quanto mal-trattato e lasciato lì sulla sabbia per secoli abbia resistito e conservi ancora la forza di illuminare chi passa e consolare chi resta, rimane forse oscuro e incomprensibile, eppure mi fa dormire meglio. Se sei nella tempesta, a volte può bastare una luce accesa ed un rudere diventa un faro.
Un abbraccio ed un ringraziamento a tutti.
cicciopunk
Io Case du Mari ne ho viste parecchie. Dal treno. Nella mia vita di pendolare sulla costa jonica reggina. Di inverno, d’estate. Ricordo che ero attratto specialmente da quelle isolate e abbandonate e forse per questo motivo le trovavo più belle.
Complimenti Rolando.
Cicciopunk
totò
Mi metto gli occhiali da sole: troppo sole in questo splendido post…
Toppi