I contrasti affiorano quasi sempre dopo un disagio, un malessere e noi istintivamente o razionalmente, produciamo risposte di ogni genere; alcune piene di energia e motivazioni altre strette nel silenzio e nell’apatia del fare. Le fratture più profonde sono provocate sempre dal proprio ego, dal bisogno ricorrente di infallibilità e dal crescente occultamento delle fragilità. L’uomo non brilla mai di luce propria, ogni azione è il risultato di variabili chiare e oscure che delineano il suo essere come una creatura legata indissolubilmente alla reciprocità. Si è qualcosa nell’essere con il mondo e non nell’essere per se stessi e questo nell’incessante gioco del vivere.
Ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo. E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza che son veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente.
Umorismo – Luigi Pirandello
Tuttavia, la conoscenza del mondo e di cosa siamo avviene soltanto nel tempo e con il tempo, costellata da conflitti e ferite di ogni genere. Siamo noi, in molti casi, che determiniamo l’intensità della luce e della gioia, l’umore e la vivacità su cui fondare le nostre speranze di successo. Come recita Nietzsche in Al di là del bene e del male: “Chi lotta contro i mostri deve guardarsi a non diventare egli stesso un mostro. E quando guardi a lungo nell’abisso anche l’abisso ti guarda dentro”. Tutto è frammentato: i luoghi che abitiamo, le persone che incontriamo, le informazioni che riceviamo ma ciò non toglie che siamo noi a decidere il nostro divenire. Il nostro impegno è sempre sull’orlo di quell’abisso, alla ricerca dei nostri limiti e delle domande irrisolte. Il nostro errare come una nave nello spazio, amplifica i silenzi nonostante il linguaggio cominci ad avere una sua solidità. Le parole sono assenti, il parlare avviene in stanze segrete dove i mostri si aggirano con circospezione tenendoci costantemente vigili nelle scelte. Il logorio del quotidiano distoglie il nostro sguardo più sincero perché l’apparenza deve avere dei buoni motivi e un ottimo vestito dove cucire il sorriso. Le nostre intenzioni sono prigioniere delle risposte che accogliamo e dalla paura di non essere capiti così ci muoviamo in spazi minuscoli dove la purezza del vedere viene macchiata costantemente dalle bugie. Possiamo fingere, lo facciamo bene per nascondere le nostre angosce di visibilità ma non possiamo contrastare il nostro essere, la nostra centralità. Inevitabilmente ci poniamo al centro del mondo come una ragnatela intenta a catturare la propria sopravvivenza. Così quelle risposte che non accettiamo, quelle parole che non sentiamo, quei gesti che non riceviamo ci eclissano nel silenzio interiore, chiudendo le porte ai colori e le finestre all’allegria. E tante e tante cose restano nel buio, in attesa di una sorpresa che sembra una resa. I contrasti non hanno preso altre strade e le parole insorgono verso ogni tipo di mostruosità. È il tempo, tempesta imperfetta di un giorno qualunque, vento di parole piene di ovvietà. Così il rumore si nasconde nei volti, nelle cose e nelle distrazioni di un viaggio pieno di domande, di un luogo privo di speranze.
Francesco Colia