Sono momenti drammatici per il nostro paese: quello che è successo in pochi giorni tra Torino e Firenze racconta una società debole, che ha perso troppi punti di riferimento, una società smarrita che cede ai propri impulsi più profondi, che non riesce a controllare la propria violenza. Lo so che c’è la crisi, che ci sono ogni giorno novità che richiedono adeguati approfondimenti, ma credo sia un delitto non parlare di quello che è successo; oggi, a pochissimi giorni dagli omicidi di piazza Dalmazia, la notizia è già relegata nelle pagine di cronaca e di Torino non si parla più, nemmeno una riga – di zingari e di folli la nostra società non parla mai volentieri. Eppure la crisi economica e le violenze di questi giorni non sono argomenti slegati, sono le facce di una stessa medaglia. Ancora prima di provare a capire, di provare a farmi e farvi delle domande su quello che è successo, c’è una riflessione che voglio fare. In questi anni ci siamo abituati a scaricare su altri le nostre colpe, in particolare su una classe politica incapace e autoreferenziale, abbiamo mitizzato una presunta “società civile” che sarebbe migliore di chi è stato chiamato a guidarla; certo i nostri rappresentanti hanno molti difetti – e io su questo blog ne ho parlato spesso – ma credo sia altrettanto onesto dire che, come spiega appunto il termine, sono persone che ci rappresentano, nel bene – non molto – e nel male – decisamente di più. I fatti di Torino e di Firenze non permettono scappatoie autoassolutorie, ma ci mettono davanti alle nostre responsabilità individuali e collettive, anche quelle che preferiamo considerare come isolati casi di follia. Per questo credo che l’episodio di Torino sia più grave di quello di Firenze, pur nel rispetto per le due persone, Samb Modou e Diop Mor, che in questa città sono morte e per quelle che si trovano ancora in gravi condizioni all’ospedale. Mi rendo conto che è difficile fare una graduatoria nel male, soprattutto quando tocca questi livelli di insensatezza, ma da qualche punto dobbiamo pur partire. E certamente il numero delle persone coinvolte è un elemento importante e nel capoluogo piemontese sono molte le persone che hanno “perso la testa”.
A Torino c’è prima di tutto il fallimento pedagogico di una famiglia, di quella famiglia, che ha fatto della verginità violata un tabu tale da costringere una ragazza a mentire e che ha inculcato nei propri figli un pregiudizio così forte contro gli zingari. Su questa ossessione per la verginità – peraltro in un mondo in cui il sesso viene sbandierato, ostentato, sfruttato – e più in generale sull’incapacità di affrontare il tema dell’educazione sessuale dei giovani dovrebbero interrogarsi non solo quei due genitori, ma tutte quelle agenzie educative – compresa naturalmente la chiesa cattolica – che del sesso fanno il loro principale campo di interventismo etico. Per inciso, sarei poi curioso di sapere che conseguenze ci saranno per quel ginecologo che si prestava a quel controllo mensile – dietro compenso naturalmente – uno che dovrebbe essere deferito al proprio ordine, se questo non fosse troppo impegnato a difendere i propri interessi di casta; ma da qui rischiamo davvero di esulare troppo dal discorso iniziale. Naturalmente le responsabilità sono personali e la ragazza e suo fratello hanno commesso un grave errore, di cui spero prima o poi si renderanno conto. Trovare altre colpe non è un pretesto per assolverli, tutt’altro. Ma, per come la vedo io, i genitori hanno colpe maggiori delle loro, perché hanno prima di tutto responsabilità maggiori che derivano dal loro ruolo di educatori, ruolo che con tutta evidenza non sono stati in grado di assolvere, visto il bel risultato. Poi ci sono le colpe dei “giustizieri”, di quelli che hanno deciso che era arrivato il momento di farsi giustizia da soli, di risolvere una volta per tutte il problema degli zingari, cacciandoli dal loro territorio, dalla loro “piccola patria”. Anche in questo caso cercare di capire non vuol dire assolvere. Non c’è giustificazione che tenga per quelle persone che si sono dirette armate verso il campo nomadi e lo hanno incendiato, però non è neppure sufficiente esprimere una condanna generica, per quanto vibrante, e poi dimenticare il giorno successivo quello che è successo in quella periferia. Ciascuno di noi porta un pezzo di responsabilità, più o meno grande, di quello che è successo a Torino. Quante volte ci è capitato di controllare il portafoglio o di stringere più forte la borsa quando uno zingaro ci è passato accanto? A me succede regolarmente, direi che è praticamente istintivo o meglio cerco di illudermi che sia un riflesso condizionato, mentre è frutto di un pregiudizio ben radicato. Quante volte abbiamo reagito con fastidio allo zingaro che ci tende la mano chiedendo l’elemosina? Poi magari razionalizziamo, spieghiamo a noi stessi che facciamo bene a non dare loro neppure un centesimo, perché sono parte di un racket che sfrutta il loro accattonaggio, immaginando un cattivo mr. Peachum che li invia in ogni angolo di strada. Se ciascuno di noi non fa i conti con i propri pregiudizi, non è molto credibile quando cerca di trovare argomenti contro quelli degli altri. Poi ci sono riflessioni che sembrano ormai espunte dalle categorie attraverso cui cerchiamo di interpretare il mondo. Le persone che hanno deciso di assaltare e incendiare un campo rom per vendicare l’offesa fatta a qualcuno del loro gruppo vivono in un contesto sociale e culturale che presenta gravi problemi, degradato si sarebbe detto una volta. Quelle persone vivono in brutte periferie e la bruttezza del loro territorio è sentita con maggior evidenza in parallelo alla rinascita e alla riqualificazione del centro storico o di altre aree della città; vivono in periferie dove non c’è una rete efficiente di servizi; hanno una bassa scolarità e quando vanno a scuola frequentano brutti edifici con insegnanti spesso demotivati e stanchi; soffrono molto più di altri la crisi economica e la fine di un modello industriale consolidato come quello torinese. Pensate come può essere stridente continuare a sentir dire quanto è migliorata Torino, quanto è più bella, quanto è più moderna, quando si è ai margini o addirittura esclusi e non si è goduto neppure un po’ di questo miglioramento, di questa bellezza, di questa modernità. Per chi è rimasto indietro la crisi ha anche questo, non secondario, impatto psicologico. La crisi non si misura soltanto dallo spread tra titoli di stato, ma anche da queste condizioni di vita, da questo spread civile, economico, culturale tra chi ha di più, sempre di più, e chi ha di meno, sempre di meno. Giustamente Time ha messo in copertina nell’ultimo numero del 2011, quella tradizionalmente dedicata all’uomo dell’anno, “the protester”, ossia l’uomo e la donna che manifestano, che protestano, che occupano. Abbiamo subito pensato alla “primavera araba”, agli indignados di Madrid, ai ragazzi di OccupyWallstreet e di Mosca, ma tra coloro che protestano ci sono anche gli ultrà torinesi che hanno tentato di incendiare il campo rom della Continassa, così come i giovani di Tottenham e delle periferie inglesi. Naturalmente questi non ci piacciono, ma con loro e con i problemi che esprimono dobbiamo fare i conti.
Ricordate la caccia ai neri a Rosarno nel 2010? Per spiegare quei fatti si è preferito utilizzare le categorie etniche piuttosto che quelle sociali: a mio avviso, non si è trattato di uno scontro tra bianchi e neri, tra italiani e stranieri, ma di uno scontro tra quelli che un tempo avremmo chiamato proletari e sottoproletari, oppure – per usare espressioni che Adriano Sofri utilizza nel saggio contenuto nel volumeSinistra senza sinistra, edito da Feltrinelli nell’ottobre 2008 – tra i “penultimi” e gli “ultimi”. Può sembrare un paradosso, ma proprio quando l’economia è diventata l’elemento centrale delle nostre vite – molto più della politica – è venuta a mancare quell’idea di divisione in classi della società che serve a spiegarne le dinamiche.
L’economia continua a dominare le nostre vite e i “penultimi”, in questo caso i “bravi cittadini” di Torino, pronti a scendere in strada per vendicare l’onore di quella ragazza stuprata, stanno per diventare loro stessi gli “ultimi” e di essere trattati dai nuovi “penultimi” che verranno nello stesso modo in cui loro stanno trattando ora gli zingari. Ci si può arrendere a questo destino, oppure si può cercare di invertire un cammino che sembra già segnato. Fare la morale rischia di servire a poco, può forse salvarci la coscienza, ma non migliora la condizione di tutte quelle persone, degli zingari e di chi ha cercato di bruciare il loro campo. Costruire belle case in periferie, investire sulla scuola e sui servizi, garantire stipendi degni a chi fa lavori normali è l’unico mezzo per rispondere alle domande sociali che vengono dagli zingari e da chi li vuole cacciare, bruciare, uccidere.
Naturalmente non voglio tralasciare quello che è successo a Firenze. Certo chi ha commesso quel delitto è un uomo disturbato, un pazzo, una persona che ha varcato un limite che fortunatamente la quasi totalità di tutti coloro che professano apertamente tesi razziste e xenofobe non varcano. Ma il fatto che siano in tanti che, magari protetti dall’anonimato delle rete, danno quotidianamente sfogo ad argomenti di questo tenore, il fatto che persone che hanno ruoli pubblici possano impunemente dire cose molte simili a quelle sostenute da Gianluca Casseri deve farci riflettere. Anche qui non basta dire che gli uomini sono tutti uguali indipendentemente dal colore della pelle; tutti noi sperimentiamo ogni giorno che questa uguaglianza non esiste, perché un povero non è uguale a un ricco, non ha le stesse opportunità, non può sperare che i suoi figli abbiano un futuro migliore. Casseri ha ucciso i due cittadini italiani nati in Senegal non perché era povero, ma perché era un razzista, un razzista convinto e coerente, e su questo non c’è molto da fare, magari si potrebbe fare qualcosa di più per prevenire, visto che lo stesso Casseri pubblicava le sue tesi farneticanti, non le nascondeva in oscure conventicole di adepti. Mi preoccupa il fatto – e credo dovrebbe preoccupare la nostra società – che molti di quelli che hanno scritto commenti contro i senegalesi e a favore di Casseri sui social network sono ignoranti, profondamente poveri di valori. Forse al razzismo non c’è rimedio, ma all’ignoranza c’è; abbiamo da tempo scoperto come si cura, il problema è la volontà di debellarla.
Luca Billi
Io non stringo più forte la borsa se mi passa accanto uno zingaro ( faccio attenzione in generale) e non reagisco male se mi chiedono l’elemosina anzi spesso sono io che mi avvicino per dargliela. Al diro il vero di solito non li chiamo neanche zingari ma nomadi o persone di etnia rom. Questo vuol dire che non ho pregiudizi? Non saprei. Ascanio Celestini diceva: “Il razzismo è come il culo. Puoi vedere quello degli altri ma non il tuo”.
Sinceramente non saprei se è più grave la vicenda di Torino o quella di Firenze. Ma hai ragione a notare che la nostra società parla sempre meno dei nomadi. Io credo che il motivo sia il fatto che degli emarginati in genere si omette di dire il nome. Di Samb Modou e Diop Mor uccisi da Gianluca Casseri all’inizio la stampa ha detto solo che erano senegalesi e i primi a fare i loro nomi sono stati i blogs di controinformazione. Nel frattempo invece il nome del fascista assassino figurava ovunque e non certo perchè è più facile da ricordare di quello delle sue vittime. Il fatto è che i media ci spingono sempre più verso la curiosità morbosa per ogni fatto di cronaca con protagonisti della porta accanto e lì possiamo conoscere nomi e cognomi, vita, morte e miracoli, segni zodiacali e ascendenti di assassini e vittime delle cui storie ci bombardano e in cui possiamo immedesimarci: sono persone come noi. Invece se qualcuno brucia un campo rom è una notizia da dare in poche righe e basta. Perchè i rom sono solo rom e basta, anzi, meglio ancora, sono zingari e basta e noi con loro non c’entriamo e non vogliamo entrarci…
Anch’io penso che la responsabilità più grave sui fatti di Torino vada attribuita alla famiglia della ragazza e ancor più grave secondo me è quella della chiesa e di tutto un sistema educativo. Colpa hanno anche quei ragazzi che, fatta la scappatella, credono di potersi salvare accusando “L’uomo nero” di cui han sentito parlare sin da piccoli. D’altra parte è così che si mantiene un posto nella nostra bella società, in fondo il loro comportamento non è poi molto diverso da quello dei preti pedofili e abusatori, mai puniti. Avrei preferito se la ragazza avesse fatto sul serio, se avesse sbandierato al mondo che quella non era una scappatella, che lei non ci crede a questa storia della verginità, in fondo è più che naturale avere certi istinti all’età di sedici anni. Ma qui l’onestà non paga, qui il ladro fa carriera e il bugiardo ottiene il miglior posto di lavoro. Nonostante questo, continuiamo a vantarci e a considerarci superiori, anche chi accetta gli immigrati, molto spesso lo fa con la convinzione di offrire loro una vita migliore, è più forte di noi, siamo convinti di essere i migliori anche quando siamo abbastanza perspicaci da vedere i nostri difetti.
Non è sbagliato controllare il portafoglio quando si passa vicino ad un nomade. Bisogna capire che un nomade quando passa vicino ad un altro nomade di altra etnia si controlla il portafoglio e chiude la macchina, non si fida, ma magari lo fa con discrezione e senza farsi notare, perchè offendere?
Credo che sia giusto fare come dice Donatella, cioè controllare sempre, io in particolare mi guardo sempre da chi indossa giacca e cravatta per esempio.
Quello che secondo me dobbiamo smettere di fare è di sentirci superiori, di credere che la nostra società occidentale sia la soluzione migliore. Dobbiamo capire che avremmo molto da imparare proprio dai nomadi e dal loro stile di vita, a questo è un po’ troppo anche per i più “buoni” fra noi.
In quanto agli immigrati, per esempio, siamo convinti che sia una bella cosa dare loro una possibilità nel nostro bel mondo privilegiato e ci sentiamo buoni quando diamo loro questa possibilità. Ma non è così che stanno le cose, purtroppo li abbiamo costretti a venire qui, a casa loro non si vive più da quando noi, esseri superiori li abbiamo scoperti e visitati qualche centinaio d’anni fa. E’ gente che ha, o meglio aveva una sua cultura importante, filosofia, matematica, tutta roba da noi calpestata, aveva materie prime, derubate per il nostro benessere. Il migrante va rispettato anche solo per il viaggio che ha intrapreso e per l’opportunità che ci offre di apprendere dalla sua cultura calpestata e dalla sua esperienza umana di cui noi ormai non sappiamo più nulla o quasi.
Mi rendo conto di non aver detto nulla contro l’assassino, o contro i razzisti che non li vogliono proprio gli immigrati e i nomadi, ma perchè sprecare parole? Certo ha ragione Luca è preoccupante vedere che sempre più gente ignorante parla a quel modo, però attenzione a quale tipo di educazione proponiamo perchè, non vorrei ripetermi, ma l’educazione della superiorità occidentale, della religione di potere o quella del mercato non producono i risultati sperati
Be’ Luca, il discorso andrebbe approfondito…società profondamente contradditoria ma lucida nelle sue azioni!!!!