Le parole sono gettate al vento come perle, così si chiacchiera, troppo, dimenticando l’insostenibile curva del divenire, ruggine appassita di un dialogo vecchio e incomprensibile. Indossiamo incessantemente l’abito del ricevere, non facciamo prigionieri di doni, soltanto trascurabili lettere vuote che rivestono le nostre pareti spoglie, di grigi lunedì. Contornati da fragili destini, crudeli arlecchini del camuffamento, rifiutiamo l’altro, lo ritagliamo come un nemico, stoffa consumata e mai apprezzata. Un buco nell’acqua esplode nel corpo, pietre cadute nella profondità dell’essere mentre i piedi si bagnano di enormi insicurezze. È un’epoca di violenza, di disgregazione e frantumazione, le idee sono in estinzione e il dominio risiede non nella tecnica ma nella totale assenza di emozioni, nel trionfo dell’indifferenza e del perseverante egoismo. Vogliamo con estrema ferocia avere, individualismo esasperato dell’ottenere ad ogni costo ma l’azione porta alla reazione, stupida e spesso incondizionata. Le nostre pulsioni interne si diramano in punti pericolosi, oasi di oscurità represse celate in forme oppresse così quel tramonto di parole confuse si tinge di un mondo che non ci appartiene. Senza volerlo tutto sembra implodere nella ridondante domanda: cosa siamo? I sentieri percorsi sono lontani ricordi che quotidianamente catturano la nostra attenzione e sono immagini prepotenti. Si è inequivocabilmente una costruzione del passato, un fiume di istruzioni stilate ad uso personale, assenze di un amore condizionato e talvolta esaltato. Non è sufficiente esistere per resistere all’insensata voglia di vivere l’avvenire, l’accadere e il divenire. È un’epoca di tendenza, di pregevoli dissonanze rivolte alla mescolanza di ogni genere. Tutti sono maledettamente immersi nel mondo del non-sapere ciò che si è, del vedere ciò che si è, nel conoscere ciò che è. Non ruotiamo intorno al nostro sole perché avvinghiati ai nostri concetti spuri così la possibilità di essere si tramuta nella necessità di essere concedendo a noi solo l’ingrato compito di sopravvivere. Satelliti di un pianeta proibito, brilliamo di luce riflessa, carta stampata di un originale perduto nell’oblio del dovuto. Le parole sono raccolte da terra, sono pietre, preziose e nonostante ciò le abbandoniamo. Sarà per te un futuro? Sarai quello di più puro che ti è stato donato? Un buco nell’anima mentre il sofferente domandare viene ricoperto dalla vernice dell’andare.
Francesco Colia