La nuova ondata migratoria che ha interessato le coste meridionali del nostro Paese già dall’inizio del 2011, non soltanto ha acuito le differenze di posizioni culturali e politiche tra coloro che si dichiarano decisamente ostili all’accoglienza e coloro che, invece, appaiono possibilisti nei confronti dell’integrazione, anche se con diversi gradi di cautela, ma ha pure introdotto tutta una serie di distinguo, esplicitati a livello lessicale con i termini “clandestini”, “profughi”, “immigrati economici”…. La visione e valutazione del valore della persona sono messe momentaneamente da parte a tutto vantaggio di uno scandaglio che riguarda il diverso status del migrante, a seconda dal territorio da cui proviene, e la situazione sociale, economica e politica da cui egli fugge: ovviamente l’indagine non può che essere superficiale, per di più se si tiene conto che molti degli “indagati” sono privi di documenti e tendono a vantare una situazione che sia favorevole per la loro accoglienza. A complicare ulteriormente il quadro, già di per sé difficile e compromesso, è intervenuta, recentemente, la sentenza della Corte Europea che ha bollato come illegittima la posizione italiana riguardo al reato di clandestinità, introdotto nel 2009 solo per dare l’ennesimo, vergognoso contentino al partito della Lega, da sempre attestato su barricate pseudo-ideologiche, condensate nel significativo quanto volgare motto “Fora di balle”. L’evoluzione degli eventi, che modifica giorno dopo giorno tutte le previsioni più ottimistiche su una possibilità di tregua nei conflitti sociali che insanguinano il Nord Africa, richiede da parte del Governo l’assunzione di una politica seria e chiara sul problema dell’immigrazione che, come abbiamo potuto constatare, non si può risolvere con le soluzioni estemporanee e demagogiche legate ai provvedimenti legislativi dei “respingimenti”. Infatti anche in fisica è noto che arrestare improvvisamente un flusso comporta un’interruzione momentanea di erogazione (è così è accaduto per gli immigrati per tutto il 2010 con grande soddisfazione della maggioranza politica attualmente al governo), destinata però a rimettersi nel condotto abituale (in questo caso il Canale di Sicilia) con maggiore forza propulsiva, tanto da apparire esplosiva come uno tsunami. Ritorna così di attualità il termine, momentaneamente oscurato, di interculturalità, cui si associano naturalmente integrazione ed interazione: il progetto delle tre i (molto diverso da quello di morattiana memoria, ormai miseramente naufragato) richiama a sua volta, prepotentemente, la mediazione dell’educazione, senza la quale nessun successo potrà mai aver successo. E l’educazione, ormai dovrebbero saperlo tutti, guarda alla “persona” nella sua integralità e non fa distinzione tra clandestini e profughi, tra immigrati economici e ospiti stranieri, anche colti, che, venuti in Italia per turismo, per lavoro o per studio decidano poi stanziarsi in un paese diverso da quello di origine. Ancora una volta ci vengono in aiuto i nostri padri latini dai quali pure dovrebbe esserci derivata quella humanitas che ha fatto grande la nostra cultura. Anche i latini, infatti, definivano lo straniero con vari termini, quali: ADVENA / PEREGRINUS / HOSPES e anche con gli aggettivi EXTRANEUS / ALIENUS. Ma furono proprio i latini, nell’evoluzione del loro potere politico ed economico, in grado di allargare la sfera di influenza dalla città Roma ad un impero vasto quanto altri mai furono capaci di realizzare, a far comprendere il valore dell’altro, del diverso da sé. Gradatamente, e necessariamente, le differenze tra l’advena, l’hospes e il peregrinus si allentarono, sino a scomparire del tutto, soprattutto in un territorio così vasto per estensione e così eterogeneo per popolazione. Prevalse tra i termini quello di advena che dava meglio, come voleva l’origine del nome, l’idea dell’innesto, che dà nuova vita alla pianta, ma, al tempo stesso, prende vita da essa. ADVENA è anche un termine che ha capacità evocative tanto da suggerire l’invito “vieni, vieni”: non a caso ADVENA è stato scelto dai tedeschi come nome per una catena di alberghi dove l’accoglienza è un obiettivo e, al tempo stesso, un vantaggio. Usiamo allora di più tale termine per identificare un progetto impegnativo che oggi si configura non solo come una sfida, ma come una emergenza assoluta.
Giuseppa Prestipino