Una stanza di altri tempi quella, depositaria del sapere di tante menti, ricca dell’odore buono della carta toccata e tenuta tra mani esperte. Fogli invecchiati dai giorni, riuniti a formare libri nell’involucro rigido di copertina. Tutti appoggiati sui ripiani dei vari scaffali secondo l’ ordine desiderato. Testi schierati, incolonnati, cementati ad edificare pareti a rivestimento dei muri. Pareva una stanza di carta. La scrivania era cosparsa di parole d’inchiostro come pure il pavimento. Tanti libri di dimensioni varie creavano un tappeto disomogeneo dove riporre lo sguardo attento e vigile per oltrepassare, evitando di rovinare.
Era quello il suo mondo, costruito in uno spazio largo di vita. Edificato a poco a poco, testo dopo testo, ognuno letto e riletto, sfogliato, odorato, vissuto. Si era nutrito delle parole di altri che amava pronunciare nella lettura sommessa dando voce al dire muto. E quello che in apparenza poteva sembrare un luogo di cose lontane, vecchie, inusuali, prendeva corpo, animandosi di luce e di calore. Quei nomi impressi sulla prima di copertina assumevano un aspetto rinnovato, che rendeva alla notorietà dimenticata la magia della familiarità.
Ogni giorno entrava in quella stanza dalla quale sarebbe uscito solo a tarda sera. Apriva la porta cigolante e vi penetrava con fare discreto. Lo sguardo abbracciava quel luogo già prima di esserci, proiettando la sua immagine in un angolo circoscritto dove si dipingeva con il pennello della fantasia, pronto a saziare l’anima sua con quanto avrebbe potuto trovare solo lì. Nella penombra della camera, si dirigeva verso la finestra dalle persiane chiuse, che lasciavano filtrare appena la luce diurna, per aprirle e fare così incontrare i due mondi: l’ordinario, intriso di necessità, obbligo, limite e lo straordinario, fatto di libertà, sogno, potenza.
Sentiva salire dalla strada il rumore delle auto e il frenetico calpestio dei passi sul marciapiede. La gente, intrappolata nel quotidiano, si lasciava trasportare frettolosamente da un tempo minimo in cui dovere incastrare tanto, troppo.
Davanti ai suoi occhi scorreva rapido il fiume informe di persone e cose all’interno di un sistema in cui tutto appariva monocromatico e indifferente. Tutto inglobato in un meccanismo dove si procedeva insieme senza vedere e senza essere visti.
Dopo aver spostato le imposte, richiudeva i vetri, quasi a protezione di quel cantuccio, di quell’universo di cellulosa, fonte di bellezza e serenità.
Si dirigeva, quindi, verso i suoi libri, li accarezzava con lo sguardo, definendo il contorno delle lettere in evidenza, zigzagando nel percorso dei segni stampati per il piacere di farlo e non per decodificarne il titolo. Non era necessario, infatti, perché conosceva bene ogni testo, a tal punto da riconoscerlo a distanza dal colore, le dimensioni, il carattere usato. A volte si soffermava su un certo tomo, che gli evocava immagini altre, permettendogli così di spaziare, allargare gli orizzonti, viaggiare e ritrovarsi altrove. In questo modo, il libro rappresentava un ponte ad unire il passato al futuro, il reale al fantastico, il noto all’ignoto. Ogni immagine era intrisa di significati ben evidenti, ma allo stesso tempo di simboli, i quali gli destavano il bisogno innato di porsi domande. Cercava quindi di dare risposta a quanto potesse alimentare la sua curiosità, ma da qui nascevano altre domande all’infinito. Dove lo avrebbe condotto tutto questo?
Si ritrovava sempre ad un punto da dove partire, lui, artista inconsapevole della trama di un sapere unico, impreziosita dalle maglie che aggiungeva ogni volta in cui si poneva una domanda, ogni volta in cui cercava una risposta. L’ inizio, nel quale era, gli regalava la certezza della scoperta attraverso la scelta necessaria e spontanea tra un numero elevato di possibilità. Ogni volta nascevano nuovi tasselli, che si ramificavano ricongiungendosi in modo del tutto casuale e originale. Ogni volta imparava qualcosa di sé fino ad allora rimasto oscuro, celato, velato. La fine non sarebbe mai arrivata in modo definitivo perché ad ogni approdo corrispondeva un nuovo principio. La bellezza non era nella voglia di arrivare ma nel bisogno di andare, arricchendosi, strada facendo, delle sfumature che coglieva. I libri, scritti da altri, scelti e letti da lui, donavano un senso nuovo ad ogni giorno permettendogli di sentirsi libero e accolto. Lì, da solo, in quella stanza.
Maria Lucia Tarantino