Biutiful
Una palla di pelo
Ultima pellicola del regista messicano Alejandro González Iñárritu, Biutiful può considerarsi un film di “denuncia” su una realtà troppo spesso rifiutata o omessa: la “clandestinità” nel mondo. Interpretato da uno straordinario Javier Bardem (vincitore al Festival di Cannes 2010 del Prix d’interprétation masculine), la storia ruota intorno al personaggio di Uxbal, prossimo alla morte per un cancro, che cerca incessantemente di “sistemare” le cose, i figli prima del fatidico momento. Il titolo di questo CineSofia è: Una palla di pelo.
Sembra quasi scontato scrivere che non possiamo realizzare ogni nostro desiderio o aspettativa, non possiamo cambiare il corso degli eventi perché la vita in definitiva è un’esplosione d’imprevedibilità. Tentiamo e tentiamo con tenacia di vivere con dignità, di strappare quel velo di precarietà dando un senso ad ogni nostra azione. Costruiamo il nostro piccolo mondo fatto di relazioni e affetti, tutto sotto la legge della fragilità e della possibilità.
Si è sconfitti dall’accettazione?
Apparentemente tutto fluisce in una condizione di stasi, ogni immagine, ricordo o fotografia sembrano incontrarsi in un evento di chiusura. Tuttavia, il lungo viaggio che ci conduce alla nostra ultima destinazione non è una storia di giudizi e conclusioni.
Uxbal: Sono ferme le tue ciglia e fermo è anche il tuo cuore.
In quel mentre, in quell’esistere che ogni giorno sentiamo, respiriamo si nasconde un irrefrenabile desiderio di gioia. Abbiamo sempre la sensazione di subire gli accadimenti, tutto ci investe come un fiume in piena e i nostri argini sono spesso fragili. Così dimentichiamo la sola cosa che conta nel nostro partecipare: l’essere se stessi.
Uxbal: Perché ridi?
Marambra: Almeno io rido e mi piace vedere i denti della gente. Se sono contenta è perché sono contenta, se sono depressa è perché sono depressa.
Dove si trova il confine della normalità?
Inseguiamo con smania una normalità che non capiamo fino in fondo, mescoliamo i nostri stati d’animo con lo stare al mondo e queste sensazioni non fanno che alimentare un grande senso di estraneità; ci sentiamo esuli e smarriti nel guscio della vita. Sentirsi esclusi, fuori da ogni accettazione la consideriamo una punizione, una sentenza su cui ripieghiamo con fatica e lacrime. Ecco allora che rincorriamo, sul filo della follia, situazioni che non ci riguardano, azioni che non hanno a che fare con il nostro modo di essere.
Marambra: Mi sento meglio di sempre però non mi sento bene come mi sentivo bene prima, ora è differente, mi sento normale, come chiunque altro.
Di cosa dobbiamo aver cura?
La nostra presenza non si manifesta come un semplice passaggio, un saluto e via; siamo parte di un progetto di relazioni e pensieri che trova il suo senso più vero nel mistero. Ogni nostro gesto ha una ripercussione verso altro/i e facciamo fatica a comprenderne le motivazioni, così ci leghiamo alle persone, ai cuori e agli affetti. Quello che realizziamo con la nostra esistenza è qualcosa di speciale che nessuno può toglierci ma averne cura, avere il coraggio di lasciarle vivere con pienezza senza la nostra presenza è qualcosa che ancora non sappiamo dominare.
Bea: Hai sistemato le cose? Sei pronto per andartene?
Uxbal: Sì, credo di sì, ci sto provando.
Bea: Credi di sì? Bisogna che tu sia sicuro, metti a posto le cose Uxbal, non lasciare niente in sospeso.
Uxbal: Io non voglio morire Bea. Non posso lasciare i miei figli soli, non posso, mi fa paura.
Bea: Credi di essere tu a occuparti dei bambini, non essere ingenuo Uxbal, è l’universo che si occupa di loro.
Uxbal: Sì, però l’universo non paga l’affitto.
Siamo soliti considerare l’istante una fine e non un inizio; ciò che accade, ciò che siamo sono solo una conseguenza di un impulso ma il terminale di un’esistenza è il cammino di un’emozione. Accettiamo con fatica gli avvenimenti lasciando spazio alle paure e alle insicurezze.
Bea: Puoi arrenderti e lasciarti andare o aggrapparti alla vita con i denti come fa la gente sciocca, ti aspetta un lungo cammino Uxbal, la morte non è la fine e tu lo sai bene.
Uxbal: Io non ci sto a morire Bea, no, no.
Bea: Sì stai per morire, lo vedo ma non c’è niente che io possa fare, metti a posto le cose Uxbal è la sola cosa che conta.
Cosa facciamo veramente per vivere?
Tutti i nostri sforzi sono rivolti verso un unico bisogno, sopravvivere, ma restare in vita con gli occhi di un adulto non è cosa semplice. La maturazione di essere umano sfalda ogni piccolo piacere in una rassegnazione sul come e sul cosa si deve fare. Si dimenticano con rapidità i sorrisi spontanei, gli abbracci speranzosi per una condizione di lotta, verso le persone, verso il mondo. Ci adiriamo con noi stessi e con un luogo che non permette di vivere con naturalezza le nostre emozioni, i nostri sentimenti e questo è un dolore che soffoca il cuore.
Marambra: Io non ho quello di cui i bambini hanno bisogno…faccio quello che posso per restare viva.
Dimenticare significa cancellare?
Vorremmo sempre restare avvinghiati alle nostre emozioni, non perdere ogni secondo del nostro amore più vero ma dimenticare non significa cancellare, tutto quello che è stato non sarà mai qualcosa a cui possiamo rinunciare. Gli occhi non ingannano, il contatto non mente e quel centro, battito di sensi, di vita che scorre nel nostro intimo più profondo vuole ricordare.
Ana: Non voglio che te ne vai.
Uxbal: Nemmeno io. Guardami negli occhi, guardami in faccia, ricordati di me per favore, non dimenticarmi Ana, non dimenticarmi amore, per favore.
Dovremmo sentire di più il rumore del mare, cullarci sui suoni del cuore perché non solo è “bellissimo” ma essenziale. Noi lo facciamo? Chissà se tutto quel rumore non è sopito nel nostro adoperarsi nel mondo.
Uxbal: Tua madre non ha mai sentito quel rumore.
Ana: Quale rumore?
Uxbal: Il rumore del mare.
Francesco Colia
Non ho visto il film, ma era già nell’elenco “Prossimamente” e forse non dovrei commentare, ma le riflessioni a margine sono così sensate e umane. “Tutto quello che è stato non sarà mai qualcosa a cui possiamo rinunciare”, niente di più vero, belle domande e ottime risposte, c’è tanto da pensare, ripensare e rivalutare.
L’avevo perso e volevo vederlo, ora so che devo. E chissà che combacia il rumore del mare. Bravo Mù :*
Essere se stessi, vivere non perdendosi mai, e usare il rumore del mare per ritrovare la strada di casa … … deve essere un bellissimo film, certamente questo post fa venire voglia di vederlo!
Grazie
Prima di tutto complimenti! Bellissime le foto delle scene scelte ed il film, così poco apprezzato dal pubblico che non ama vedere una sofferenza così assoluta, senza vie d’uscita. Non sempre c’è un lieto fine, non sempre la vita premia, non sempre c’è un riscatto, però può esserci chi si ricorda di noi, anche dopo la morte.
Anche 21 grammi mi è piaciuto moltissimo.
Grazie Francesco 🙂
Come si fa a non lasciare niente in sospeso? La vita stessa si sospende e non c’è più tempo per le parole non dette e gli abbracci non dati, ma neppure possibilità di nuove parole.
Anch’io non avrei dovuto commentare fratè perchè non ho ancora visto il film, sarà la prima cosa che farò al mio rientro, anzi la seconda, prima farò un salto al Tabacchi 😉
Buon Natale a tutti con un augurio di crescita esponenziale e di belle notizie!!
Hasta!
Aggiungo i complimenti per la bellissima soluzione grafica, fotogrammi invoglianti la vista del film e che comunicano già da soli emozioni 😉
Divento noioso nel ringraziarvi quindi vi lascio il gusto del film!!!! 😀
Ehi bell’articolo. Mi è piaciuto davvero, comincio a seguire il blog 🙂