
Fotogramma tratto da La Tartaruga Rossa di Michael Dudok de Wit
(un discorso mai finito ma probabilmente mai iniziato)
…che poi, caro amico mio, sappiamo che le paure dell’uomo sono raggruppate nelle due grandi categorie comprendenti la paura della morte ma anche quella del vivere; la prima si cerca di esorcizzarla tant’è che la massima aspirazione (considerato che l’evento è ineluttabile) è di oltrepassarne la soglia con un sorriso sulle labbra e per fare questo si rimedia riempendo all’inverosimile il cuore, di felicità, amor proprio e amore donato agli altri: in questo modo la morte sembra meno coattiva e lontana. Ma non immaginare che la paura di vivere sia tanto diversa; presuppone –infatti- la risposta immediata a tante domande: cosa ci faccio qui, chi sono ma soprattutto chissà cosa pensano gli altri di me e come mi considerano e vedono. I grandi pensatori dell’esistenza hanno ben compreso questo concetto sviscerandolo in fiumi e fiumi di inchiostro. Noi nel mondo ci siamo perché in esso ci hanno gettato, non importa perché e se contro il nostro desiderio, di certo è che nel mondo è possibile rintracciare tutti gli attrezzi per viver-ci sopra ovvero “sopravvivere”! Mezzi che talvolta non ci appaiono come tali e che spesso li confondiamo, preferendoli, con oggetti di dubbia utilità che pretendono di essere acquistati, posseduti e collezionati: nell’accumulo e nel desiderio che si antepone al possesso stesso, desideriamo nasconderci alle angosce sul pensiero della morte e sulla validità della vita. I mezzi (o strumenti) sono anche spesso indefinibili perché mascherati da comportamenti o azioni: una carezza, un lieve tocco, un bacio, uno sguardo, un abbraccio. Strumenti che dovrebbero far parte del nostro vivere quotidiano ma che in realtà sfuggono alla loro stessa utilità (che strana cosa la vita..) occultati da tante cose materiali e il più delle volte inutili ma anche da comportamenti stereotipati di cui fatichiamo a comprenderne il senso. Ma capita che viene in soccorso colui e che ci fa inforcare gli occhiali con le lenti adeguate (ma che talvolta ce li toglie pure, secondo necessità, poiché non è detto che tutto ciò che sia bello si debba necessariamente vedere) e che ci permette di vedere (o sentire) meglio o anche a trovare tutto ciò che si è nascosto e di cui, per sapendo della loro esistenza, ne abbiamo perso le tracce; ci fa scoprire (o meglio RI-scoprire) quanto sia bello e gratificante il rapporto umano nonché l’incontro fisico e sensoriale con il proprio simile. Mi chiedo se non sia questa la formula “segreta” per ricongiungersi al principio primo del mondo, quel denominatore comune a tutti gli esseri (umani e non) che trae origine dall’ anima mundi. E la condivisione? Ah, la condivisione,: ma cos’è? E’ una parola magica, attuale ma anche tanto abusata secondo il mio modo di vedere. È un termine che dovrebbe rimandare ad un principio assimilabile a quello dei vasi comunicanti, per poter riuscire ad essere vicini e di sentire l’altro nelle medesime condizioni empatiche ed emotive nonostante possa esserci della distanza tra le anime che desiderano condividere qualcosa; ma tale condizione spesso è possibile che non si verifichi poiché, come scrive lo stesso Martin, “non sempre pensare di realizzare una vicinanza significa accorciare delle distanze”. Ed allora può essere che venga in nostro aiuto ancora una volta qualcuno che ci reindirizzi, delimitando lo spazio di condivisione, molto più ridimensionato rispetto a quello più moderno e innovativo ma che non è reale, per realizzare la vera condivisione, quella delle emozioni e delle sensazioni che è possibile provarle soltanto nelle immediate vicinanze. Certo, caro amico mio, mi dirai che scardinare corazze e sovrastrutture ha sempre un prezzo da pagare, quello di mostrarsi “nudi” nei confronti di un mondo ormai accecato dalla prepotenza, avidità ed egoismo e mostrarsi per quello che veramente si sente di essere significa mostrare anche una presunta debolezza che può lasciare spazio all’altro di aggredirci. E questo conflitto l’ho percepito subito quando ha provocato in me una profonda nevrosi ed è molto difficile spiegare questo strano meccanismo; nel dubbio e nella indeterminatezza, proprio come una tartaruga che appare ma che si rintana all’occorrenza, ci sono e nello stesso tempo mi nascondo.
Antonello Bellanca
Articolo pubblicato per la prima volta su questo sito il 7 Nov 2014