C’era una volta un secchio dal cuore nobile e gentile e una sorgente nascosta in un giardino dove un melograno si divertiva a guardare i propri frutti palpitare al vento.
Nessuno era mai riuscito a scorgerla tanto l’abbraccio delle fronde era stretto, né a raccogliere i deliziosi frutti perché la bella pianta faceva in modo che tutti maturassero nell’interno ed essi arrossivano solo allo sguardo del sole che, da una stretta radura, attraversava la sorgente lasciando che in essa, come per incanto, si potesse quasi toccare il cielo.
Nulla sembrava poter svegliare la pianta dal sogno che lo specchio d’acqua alimentava: se i frutti danzavano con le nuvole, fin dove si allungavano le sue radici?
Un giorno accadde che il secchio ebbe sete e passando per caso lì vicino si accorse del verde, si fermò e disse: “di quell’acqua che inverdisce queste fronde anch’io ne berrò” e si mise a cercare … e cercando fu notte e nella notte vide, come vestita di sogni la luna e si accorse d’un tratto di poterla toccare e non appena l’ebbe fatto di non avere più sete.
Felice, le disse: “potessi io raccoglierti tutta e portarti via con me!”
Rispose la sorgente: “lascia che sia io a riempirti, così non galleggerai più sulla mia superficie, ma là dove nessuno sguardo sarà più capace di distinguerci, saremo uno”.
Ed il secchio: “dolce luna, ma come potresti tu riempirmi? Sei così immensa che finiresti col distruggermi e mi priveresti pure della meraviglia che provo nel guardarti e poi tu, in cielo, hai tante stelle, cosa te ne faresti di un secchio come me?”
“Allora – sussurrò la sorgente – ti darò tutta me stessa a poco a poco, finché vorrai, goccia dopo goccia ti disseterò”.
E fu così che da quel momento il secchio fu chiamato “fedeltà” perché non c’era notte che non s’immergesse nell’acqua credendo di farsi cullare dalla luna … e la sorgente fu chiamata “amore” perché silenziosamente ne seppe rispettare il sogno e la misura.
Antonella Foderaro