(Immagine Alex Stoddard)
“S” viveva a testa in giù. Se ne accorse quando vide che tutto andava alla rovescia.
La gente camminava in giro nuda, ma non lo sapeva.
Parlavano tanto ma senza dire niente, fumetti vuoti … nuvolette senza testo, ogni tanto qualche rumore, ma erano brividi o i denti stretti dalla rabbia.
Dapprincipio credeva fossero gli altri ad esser matti e non faceva altro che strillare a perdifiato: “Raddrizzati che cadi” o cose del tipo: “Reagisci! Spostati! Copriti! Rispondi!” Ma tutti sembravano immersi nella palude dell’inerzia e quel loro continuo muoversi era solo il giro di una trottola senza direzione, né poteva dire che si avvitassero in profondità … rimanevano fissi nel vortice di un punto.
Così ci pensava da solo a ripiegarsi su se stesso, come il tornante di una curva, ed imprecava: mondo cane! E poiché nessuno l’ascoltava, né gli rispondeva, né si giustificava, iniziò a pensare che non erano gli altri alla rovescia, ma lui che stava a testa in giù.
Da quel momento la sua vita si può dire che cambiò: “S” si domandava su cosa camminasse, dove fosse appeso, quali fossero le sue radici, perché il caso avesse scelto proprio lui come eccezione.
Per quanto si sforzasse di trovare la risposta nessuna ipotesi gli sembrava credibile e se non riusciva ad esserlo per se stesso, come poteva dar prova di sé a tutto il mondo?
Aveva già escluso diverse serissime possibilità: problemi alla vista e della personalità, senso di disorientamento e crisi di panico, ansia e stress da qualunque tipo di prestazione … tutto ed il suo contrario: ma non trovava la soluzione.
E siccome era un tipo che amava definirsi realista e con i piedi ben piantati per terra … già … per terra … decise, dal momento che la sua rigorosa razionalità gl’impediva di credere agli alieni o in qualunque divinità, che non c’era nessuna spiegazione per la sua condizione: era pure in suo diritto no, dirsi e convincersi di qualcosa? E se non c’era una causa, perché mai avrebbe dovuto esserci un fine? Perciò alla luce di quello che lui autorevolmente dichiarava essere il proprio laico credo e poiché proprio non gli riusciva a smettere d’interrogarsi – si rassegnò – non senza una certa leggerezza – a tentare di darsi qualsiasi tipo di risposta.
Così trascorreva le giornate sospeso, con alcune (non troppe, per una questione d’igiene) domande nella testa, con le quali giocava un solitario, per ammazzare l’attesa.
Ogni tanto sbirciava il mondo al quale non apparteneva e sorrideva, senza più rabbia, né rancore, senza invidia, ma pure senza alcuna ammirazione e si chiedeva cos’è che lo facesse girare a quel modo e se avrebbe mai smesso.
Si chiedeva il perché di quella nudità e se fosse una scelta o una conseguenza del moto e se anche lui lo fosse, magari solo in parte, in maniera ugualmente inconsapevole.
Pensò che non serviva darsi una risposta, tanto nulla sarebbe cambiato e poi nessuno lo guardava, nessuno alzava lo sguardo, seguivano solo quella strana rotazione, come pianeti sul proprio asse, ogni tanto qualcuno si scontrava con un altro, per un attimo sembrava che cadesse, che si fermasse, ma poi cambiava solo di posto, come uno scambio di priorità, un tacito accordo tra le parti.
Presto, ma non troppo, “S” si stancò e delle domande senza risposta e dello spettacolo, così decise che sarebbe stato meglio porre fine ad un’esistenza tanto priva di significato, ma era troppo codardo per suicidarsi (o forse troppo curioso sul finale), così visto che non aveva armi o veleni, né alcuno vi era con lui che potesse fornirglieli o aiutarlo in questo suo incerto sproposito, decise che se proprio non poteva cambiare la propria posizione, almeno avrebbe provato ad attirare attenzione. Magari chissà, esisteva un modo per fare entrare in comunicazione il dritto col rovescio e farli essere meno assoluti, meno soli e visto che risposte non ne aveva, si chiese se fosse giusto considerarsi innocenti nei confronti di ciò che non si vede ed allo stesso tempo se la cecità fosse una colpa e se esistesse una cura che non fosse riconducibile unicamente al perdono.
Meno si preoccupava delle risposte, più le domande si facevano precise … “S” se ne spaventò … Doveva cambiare vita, doveva rimediare al danno, doveva agire, muoversi, decidere!
Non sapeva da dove cominciare, se almeno si fosse potuto staccare e mettere come gli altri in posizione eretta e verticale!
Avrebbe provato magari a fermare qualcuno, a porgli qualche domanda, a farsi notare … così invece gli rimaneva veramente poco da fare, ma sempre meglio che star fermo ad aspettare … cominciò a roteare su se stesso in senso opposto a quello del resto del mondo, prima lentamente, poi sempre più veloce, più veloce, finché anch’egli fu nudo e dimentico del perché avesse preso quell’altra direzione … Capì che era proprio quel movimento la causa di tutto: dell’isolamento e dell’incomunicabilità, dell’assenza di risposte, ma soprattutto si accorse che esso aveva ingoiato anche tutte le sue candide domande, quelle che ancora facevano di lui una stravagante, meravigliosa eccezione … vide di non essere più appeso a testa in giù, ma di essere in mezzo a tutti gli altri, solo che andava controsenso, aveva perso tutto, gli era rimasta solo la coerenza, quell’assurda, crudele coerenza, che lo rendeva ancora più odioso a se stesso, perché gli ricordava da dove veniva e cosa aveva perso.
Ed accadde così che proprio allora – imprevedibilmente – “S” trovò la risposta, l’origine, la causa, il fine ed il senso di tutto se stesso, ma la verità fu come un dito che gli chiuse le labbra … e pianse a dirotto, come un bambino perduto, bagnando, che dico, inzuppando la terra tanto che se ne macchiò pure il cielo – e fu a tutti ben noto a quel punto – che essa non fosse, come ben si credeva, di un altro tessuto, ma appena il rovescio si, proprio il rovescio del cielo.
Chissà se poi “S” lo seppe che c’era [in modo del tutto impensato] riuscito … a fare da gancio, ad essere l’ago ed il filo.
Antonella Foderaro