La presenza, per così dire, del concetto di “assenza”, generalmente considerata una parola foriera di negatività, è continua in scrittori, poeti e filosofi di ogni tempo e Paese.
Essi vi giocano, vi compongono, vi riflettono, parlano di essa: paradossalmente, si può dire che in loro “l’assenza è spesso presente”.
Vien da chiedersi se questo comportamento ossimorico nasconda un mistero ontologico o solo linguistico.
Gli psichiatri, per esempio, parlano di “assenza” quando si verifica un’improvvisa e fugace sospensione della coscienza e dopo non si ricorda più niente: poco male, dopo tutto.
Molti, poi, sono quelli che pontificano sull’assenza, scrivono aforismi, discettano senza tregua. Insomma, sembra una parola importante, solo che non sempre le idee sono chiare. Vediamo.
Qualcuno dice che chi coltiva l’assenza, l’assente, appunto, pur non essendoci, ha sempre ragione[1].
Qualcun altro afferma che questo avviene quasi sempre[2].
E non manca chi si azzarda pure a sostenere, nel parlare comune, che “l’assente ha sempre torto”?
Davvero tot capita tot sententiae!
Non si può negare, comunque, che un merito di certo l’assenza ce l’abbia, perché (a meno che non si lascino delle spie, umane o elettroniche), quando c’è lei, l’assenza, ci è impossibile non solo ascoltare ciò che i nemici dicono di noi (anche se, più o meno, ce lo immaginiamo!), ma anche ciò che dicono gli amici; ed è proprio così che molte amicizie rimangono in vita[3].
E poi, vogliamo pensare alla positività dell’assenza quando essa viene a negare i vizi, i difetti, in poche parole, tutte le negatività? Guardiamo una buona volta a quant’è bella l’assenza in noi della pratica del male, di peccati, capricci, imperfezioni, difetti, errori (mica tutti, anche solo alcuni!).
Anche in amore, l’assenza sembra apportare, almeno a detta di più d’uno, grossi vantaggi: essa attenua le passioni mediocri e aumenta le grandi, come il vento spegne le candele e ravviva il fuoco[4] (e cantava così anche il popolare Modugno di un sinonimo dell’assenza, la lontananza, che “sai, è come il vento…”).
Insomma, con l’assenza viene fuori il meglio: basta sentire Properzio, che scrive come essa sia un pungolo per il desiderio[5].
Non è cosa da niente, se si pensa che c’è chi, per scoprire ciò con la presenza, impiega, sprecandolo, tanto tempo. Invece con l’assenza…
Perciò, quando qualcuno dice: “Quanto bisogna amare qualcuno per preferirlo alla sua assenza!”[6]; non dobbiamo pensare che sia solo una battuta umoristica. È proprio così.
D’altronde, quanto bene ci faccia questa entità – non entità lo scrive assai bene Schopenhauer: “Noi sentiamo il dolore, ma non l’assenza del dolore; sentiamo la preoccupazione, ma non l’assenza della preoccupazione (…); la paura, ma non la sicurezza”.
E vi par poco?
Viva l’assenza!
Felice Irrera
[1] Giuseppe Pontiggia, Le sabbie immobili, 1991
[2] “Gli assenti hanno una volta torto ma novantanove ragione” (Gesualdo Bufalino, Il malpensante, 1987)
[3] Blaise Pascal, Pensieri, 1670
[4] François de La Rochefoucauld, Massime, 1678
[5] Elegie, I sec. a. C.
[6] Jean Rostand, Pensieri di un biologo, 1954
L’assenza si misura dal valore della presenza: più è grande il “posto” che occupa in noi la persona a cui siamo legati, più si avverte la sua mancanza. Così il sentire supera la distanza tra il non esserci e l’esserci fino ad annullarla e l’assenza diviene insostituibile presenza contro ogni forma di oblio.
Molto lieve aerea questa riflessione sull’assenza. Introdotta dalla magnifica immagine della veste appesa. Assente è solo ciò che, anche solo per un attimo, è stato un dì presente.
La foto di Marta rende già chiaro il concetto,qualcuno, un tempo senza unità di misura era, ora è terribilmente visibile e lo notiamo,quindi non c’è presenza senza assenza e viceversa; l’assenza è percepibile la presenza non ha percoso codificabile ed è evidente..questo aspetto protettivo dell’ordine è molto epiù vidente nelle situazioni marginali, ciò che ci mette in crisi è l’ordine e il dubbio se è assente o presente un margine che è da noi stabilito..
Ottimo post …