I filosofi oggi sono più dei funzionari del pensiero e degli amministratori del concetto … quanto contano i desideri degli uomini, che non hanno potere, con i quali non ci si può intrattenere su questioni sottili? P. Feyerabend
L’opera si presenta come una raccolta di saggi pubblicati per la prima volta in Germania nel 1986. In essa l’autore in maniera del tutto a-sistematica cerca di rispondere alla domanda “cos’è la consulenza filosofica?” Ovviamente la risposta si legge tra le righe ed alla fine dell’intero testo si rimane con la sensazione di aver cercato di “definire” un’esperienza così unica da non poter essere sintetizzata in formule, sistemi e metodi.
Tutto ciò potrebbe far pensare che ci troviamo di fronte ad un testo “non filosofico” o per lo meno, non alla “maniera” tradizionalmente intesa, infatti, è proprio l’episodicità dei vari saggi a farci intuire qualcosa della stessa consulenza: non si tratta di una “teoria” filosofica, ma di una “pratica”.
Pensiero dunque che si fa azione? L’autore sostiene il contrario: è “l’azione che stimola il pensiero”, è l’evento stesso dell’esistenza, nella sua imprevedibilità ed unicità che “accende” il pensiero, spingendolo ad in-verarsi, a superarsi, a rivolgere il suo sguardo dall’alto della teoresi al vissuto nel quale, la speculazione, è chiamata a dar prova di fecondità.
Ne scaturisce un’opera ricca di suggestioni in cui l’autore non vuole rispondere ad una domanda, ma piuttosto stimolarne una nuova sul vero senso del filosofare, sull’identità del filosofo, sulla natura della filosofia.
Così il titolo delle raccolta non ne definisce il contenuto, ma ne traccia semplicemente l’itinerario: bisogna da bravi “pellegrini” iniziare il viaggio, fermarsi, ripartire, tornare indietro, oltrepassare … laddove il fermarsi ed il tornare indietro non sono mai un regredire, ma un crescere in consapevolezza, profondità, o come direbbe Achenbach in “saggezza”. Nel primo capitolo l’autore cerca direttamente di rispondere alla domanda “cos’è la consulenza filosofica”, ma per delinearne il profilo usa la via negationis: non è approccio psicologico o psicoterapeutico, non lavora con metodi, ma sui metodi, la filosofia non viene “applicata” all’ospite, ma ne vivifica il pensiero spingendolo ad altri criteri di valutazione della vita e delle circostanze.
Il secondo capitolo, che è la trascrizione di un colloquio tra Lorenzen e Achenbach, chiarifica meglio cosa sia la “pratica filosofica” e cosa il “consultante” o “ospite” debba da essa aspettarsi.
Achenbach è il primo ad aprire uno studio di consulenza filosofica ed a praticarla come “professione”, ne spiega dunque le ragioni al suo interlocutore, indicandone almeno tre:
– la filosofia allo stato attuale è totalmente autoreferenziata e sopravvive unicamente nel ghetto accademico;
– l’uomo del XX secolo ha rivolto quelle che un tempo erano le domande della filosofia alla psicologia, ma si è visto applicato delle tecniche, è diventato da soggetto pensante ad oggetto di terapie;
– la filosofia pratica ha in sé il pregio di sciogliere ogni irrigidimento del pensiero, per cui non applica teorie o sistemi, ma al contrario tenta di pensare i problemi concreti in modo produttivo.
Il compito della consulenza filosofica è quindi “nel pensiero (o anche nel sentimento) arenato, senza direzione, circolare o spossato da continue ripetizioni, … pensare insieme, pensare oltre, portare movimento all’interno dell’intrico problematico … in una parola -con Novalis- : filosofare significa deflemmatizzare e vivificare”.
Le domande kantiane vengono quindi “personalizzate”, non più: che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare? Cos’è l’uomo? Ma assumono il carattere del qui, ora, per me: che cosa so? Che cosa faccio? Che cosa spero? Chi sono?
Nel terzo e nel quarto capitolo Achenbach si dedica all’identità del filosofo, alla sua ascesa e caduta, presentando la consulenza filosofica come la chance della filosofia: il filosofo non sa più confrontarsi con la vita, con quel “ma” che è lo scarto tra il razionale ed il reale. La consulenza filosofica si dovrà sviluppare come una “teologia razionale dell’essere umano e dell’individuo”. L’uomo moderno, sempre più sradicato e affamato di “formule” che lo aiutino a vivere meglio la propria inadeguatezza alla società che gli propone modelli troppo “super” per essere raggiungibili, ha bisogno di ricominciare a pensare, in maniera personale ed autonoma.
L’autore propone una nuova “strategia” filosofica: piuttosto che lasciare campo libero alla psicoterapia facendo ahimè ingrossare le file al banco delle farmacie che vendono antidepressivi ed ansiolitici, pensa una nuova professione che metta mano al problema alla radice, per non lasciare l’uomo paralizzato davanti agli imprevisti ed ai “ma” della vita.
Il consulente non vende formule, ma cerca insieme al suo “ospite”, di aprire, nel dialogo, nuovi orizzonti di senso.
Il testo, come si può chiaramente evincere dai nostri brevi cenni non offre definizioni, ma intuizioni e sembra comunque dire troppo poco soprattutto se pensiamo che l’autore è di fatto il fondatore di una “pratica”. L’aspetto a-sistematico tuttavia, è paradossalmente non il punto debole, bensì quello di forza in quanto riflette quella che è la vita di ogni uomo … un susseguirsi di esperienze … in attesa di una propria originale interpretazione.
Antonella Foderaro