Da molti occhi
Ho saputo di altri occhi:
occhi che nascono
da sguardi di solco
Occhi smessi
nel tempo atteso
[o che ha smesso d’esserlo]
della caduta,
gli occhi morti,
[ah, se ne ho visti]
come quelli di mio padre,
hanno domande,
quesiti tristi,
che sono occhi dei vivi.
Ho saputo di occhi vuoti,
occhi d’annegato
nel gemito fatale;
in piccoli delitti voluti
d’euforia surrogata:
segnali di vuoto totale.
Giochi di palpebre senza peso:
che vedono la luce d’altre notti.
Necessità di terraferma
E’ necessità di terraferma
nella profanazione d’onda:
sussurro di volo e gioco di
sponda.
Anche le parole sorte,
dalle occhiaie del passato,
profanano una preghiera di
voluttà.
E’,
giunti al punto,
una chiosa sul lavoro di Dio
che scollina in accento di vanità:
-I poeti detengono la verità-
Un assaggio di secoli, senza pudore
infantile, nell’ora della conoscenza,
è sipario e confessionale,
vale:
asciuttezza del dolore e aridità;
lingua del bene e mascella del male
decollo di memoria e naufragio di coscienza.
Carnefice è l’amore
Carnefice è l’amore che divora
il sacro legame e sdrucciola
in imperfetta e lacunosa disarmonia.
Nell’inganno di veste logora
si replica la copula spicciola
di ricordo ed astenia.
Abbiamo bisogno d’ali:
l’implacabile taglio che spacca
le nubi a metà, rovesciandole;
di muscoli eccezionali
e sorriso che scoperchia la bocca:
muta cucitura di singoli.
Carnefice è l’oblio della partenza,
che si perde negli approdi,
e la voglia di ritorno al vigore
di bracciate d’incoscienza;
ad una velocità senza nodi;
ad un respiro appeso al batticuore.
Forse vite incastonate
nella banalità di uno stereotipo rosa;
scordate ad un recapito fissato
dalla sete d’un pozzo d’estate;
smarrite nell’ombra del velo da sposa
ritrovate nell’attimo impaginato.
Poesia serale
La mente spinge l’altalena
al bimbo che nasconde
una scommessa:
è sempre la stessa,
che lui confonde
con una voglia di luna piena.
E, guardiana, un’incompiuta falena,
fedele, attende
quanto promesso:
palude o abisso,
non pone domande
allo sguardo che scorre la schiena,
serena,
prende
il concesso.
Corruzione spaziale
Occhi hanno visto partire
Un disperato troppo tardi
Troppo tardi
Troppo tardi
C’è sempre un troppo tardi
Quando una barca prende mare
Soli nel respiro del mare: uomini o pesci?
Superficie, solo superficie
Troppa superficie
Neanche più fango
Impaura il fondo
Il fondo
Fondo
Corruzione concettuale della parola
Niente
Altro
Nicchia di passiflora
La nicchia rubata
alla passiflora
conserva ancora
la memoria
di sguardi strappati
al temporale.
Quale sarà
il calore impresso,
sfuggito al processo
del tempo, che,
donando colore
al pistillo,
s’inventerà
bacello
della nostra storia?
So, netto
Il rovo in bocca mi cresce
fino allo straripare di lingua,
baloccando spinte d’impazienza
pago le fatture, giunte a scadenza,
del frusto versare di sangue
al pastore che, ebbro, mi pasce.
Il coraggio mi spaventa
di tacere il sovrano nudo
e la pletora satolla;
la fede mia barcolla
innanzi al rapinoso credo
di chi [tutto] impunito addenta.
So, netto e disperso, che
una prosa di convalescenza
richiede nettezza chirurgica
nella vacanza liturgica
[scemata sciarada di putrescenza]
dell’asserire diverso.
Stefano Giorgio Ricci