Siamo tutti figli di quel tempo culturale che è la Storia. Direi che l’espressione tempo culturale sia maggiormente più responsabilizzante rispetto al più neutro termine di storia; inoltre parlare di tempo culturale, è affermare il carattere centrale del ruolo della mente e delle sue articolazioni nella determinazione di quella sequela di eventi a cui diamo il nome di Storia; è attribuire la piena responsabilità al pensiero umano per ciò che esso produce, al netto della casualità che attiene ai fatti naturali, vale a dire a quegli eventi fisici, biologici, chimici, che sfuggono alle capacità previsionali della coscienza e del pensiero. Da questo punto di vista, se siamo giustificabili per gli accidenti che ci vengono da madre natura, non lo siamo più per ciò che viene dalle nostre azioni: il mondo naturale è ciò che è ma il mondo antropico è ciò che lo facciamo diventare.
Estremizzando il discorso, si potrebbe affermare che ogni delusione, ogni dramma, ogni tragedia soggettiva o collettiva, è il risultato di un fallimento culturale o di una premeditata determinazione della Storia, il che vuol dire fallimento o inveramento del pensiero in uno o più dei suoi aspetti metamorfici. Per esempio, l’attuale fenomeno grave della disoccupazione giovanile o, più in generale, della crisi economica in atto, è l’effetto del fallimento della politica, dell’economia, e più profondamente dell’etica o della spinta ideale verso un umanesimo più compiuto, di livello qualitativamente migliore rispetto agli umanesimi precedenti (è questa l’evoluzione antropologica, non altro). Un fallimento storico, quindi, è sempre un fallimento culturale o, se vogliamo categorizzare, è il prevalere di una cultura bassa rispetto ad una cultura alta, dove cultura bassa è quella connotata da esclusione, sfruttamento, dominio, prevaricazione, conflitto, violenza, emarginazione, disuguaglianze scandalose, disparità delle opportunità e dei diritti, e cultura alta significa inclusione, solidarietà, democrazia, confronto pacifico, equità base di opportunità e diritti, rispetto della dignità e della vita umana, condivisione non privilegiata dei frutti del lavoro e delle risorse della Terra.
Alla luce di ciò, non è difficile affermare che l’attuale tempo storico, lo stato presente del Mondo, sia ed è dominato da una cultura bassa con gradazioni di gravità differente, ma sempre come effetti di una specifica declinazione culturale e non come corrispettivi di misterici e oggettivi meccanismi della Storia o di chissà quali imprescrutabili fatalità teologiche. La Storia ha sempre avuto ed ha i suoi centri di elaborazione-programmazione-pianificazione, tanto più nel tempo dell’avvento della tecnocrazia che ha offerto alla cultura bassa mezzi operativi sempre più potenti; ha nomi e cognomi, mittenti precisi, uomini e donne con regolari capacità di intendere e di volere, e -aggiungo- con una carica di cinismo disumano e distruttivo negli effetti, che da sempre rappresenta il pericolo potenziale maggiore sia per le singole esistenze delle persone sia per gli equilibri pacifici del Mondo.
Quindi, che fare? La risposta è abbastanza ovvia e scontata: dare più voce alla cultura alta, far sì che sia sempre più evidente e consapevole quanta perdita di umanità vi è nella prevalenza dei paradigmi della cultura bassa, non smettere mai di indicare la forza attrattiva e ascendente di un umanesimo solidale globale, riaffarmare ogni volta che “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra” (Pio XII). E’ in questa necessaria e permanente operazione educativa che emerge in tutta la sua importanza cruciale il ruolo messo in ombra degli intellettuali -diciamo- umanistici, di coloro il cui pensiero è autenticamente e sinceramente percorso dalla radicale passione per l’uomo; è questa voce che sembra essere diventata troppo flebile, quasi anacronistica e patetica, spesso sbeffeggiata e ridicolizzata come se Bene e Bellezza fossero questioni comiche e non invece i pilastri della Civiltà.
Con questo non si vuole affermare che al presente non sia all’opera un ruolo e una funzione intellettuale, ma è consequenziale che una cultura bassa non può esprimere che intellettuali bassi e non può essere espressa che da intellettuali bassi. Per tale ragione, dove più dove meno, stiamo vivendo ed attraversando il tempo storico del disastro antropologico del Mondo.
Francesco Palmieri